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Dalla crisi alla ripresa nel segno dello sviluppo sostenibile

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Credits: ACEA

di Isabella Ceccarini

(Rinnovabili.it) – Il tema dei fondi europei è vitale per creare un’Europa più resiliente, sostenibile, giusta. Quello che normalmente viene definito Recovery Fund si chiama in realtà Next Generation EU, i cui fondi sono ripartiti in tre pilastri: sostenere la ripresa degli Stati membri, rilanciare l’economia e sostenere gli investimenti privati, rafforzare i programmi strategici dell’UE per rendere il mercato unico più forte e resiliente e accelerare la transizione verde e quella digitale. Strumenti di resilienza trasformativa per avviare una ripresa che non lasci indietro nessuno: un investimento per il futuro, non per il presente.

All’Italia è richiesto uno sforzo immane, ha messo in evidenza Enrico Giovannini, portavoce dell’Asvis, aprendo il Festival dello Sviluppo Sostenibile: tutti si concentrano sulla dimensione degli investimenti, pochi sul cambio di approccio da mettere in campo per usare quei fondi. La Commissione Europea chiede di destinare il 37% dei fondi a combattere la crisi climatica; vuole conoscere le modalità di attuazione, le riforme, chi verrà coinvolto, a cosa sarà destinato l’investimento. Servono una chiarezza e un’agilità di procedure a cui non siamo avvezzi.

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Magnifico intervento dell’economista Suor Alessandra Smerilli, della Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium, nella giornata inaugurale del Festival dello Sviluppo Sostenibile. Ha paragonato gli squilibri del mondo di oggi all’estinzione degli abitanti dell’Isola di Pasqua, che si autodistrussero per lo sfruttamento eccessivo delle proprie risorse. Possibile che nessuno riesca a prevedere certe conseguenze o a fermare per tempo le pratiche dannose? Gli studi dimostrano che il problema è il superamento di una soglia critica: non ci si accorge di un pericolo che si manifesta gradualmente e quando cominciamo a vederne i danni è troppo tardi. Presi dalla paura cerchiamo di accaparrarci quello che si può nel timore di rimanere senza.

Smerilli ha citato il saggio scritto nel 1968 dall’ecologo statunitense Garrett Hardin sulla tragedia dei beni comuni (The Tragedy of the Commons): tutti ne possono usufruire perché comuni, ma si esauriscono se tutti li sfruttano senza limiti. Cosa ci ha insegnato la pandemia? Che l’importanza del bene comune è più evidente, nessuno può farcela da solo, se ne uscirà solo insieme, abbiamo bisogno gli uni degli altri. Ha detto Papa Francesco che il bene comune richiede la partecipazione di tutti: è l’etica dello sviluppo sostenibile ciò di cui abbiamo bisogno per ripensare i modelli economici in chiave rigenerativa passando dall’io al noi.

Le aziende agroalimentari hanno un ruolo basilare per lo sviluppo sostenibile. Mario Abreu, Head of Group Sustainability di Ferrero, ha spiegato che anche nell’emergenza l’azienda ha misurato le emissioni di CO2 degli stabilimenti per capire dove e come ridurre le emissioni. Oggi più del 60% delle fonti energetiche di Ferrero è rinnovabile. Lo sviluppo sostenibile riduce i rischi, aumenta i benefici per gli agricoltori e la resilienza finanziaria: gli SDGs devono diventare una bussola per le aziende, la loro sostenibilità è un beneficio per l’ambiente e le persone. 

Francesco Starace, ad e presidente di Enel, ha ribadito il costante impegno dell’azienda per la decarbonizzazione, iniziato anni fa quando ci credevano in pochi. L’Europa, attenta alla sostenibilità come dimostra Next Generation EU, attrae investimenti sostenibili che la mettono in una condizione di vantaggio competitivo; anche Enel ha emesso dei bond legati a obiettivi di sostenibilità. Durante presidenza italiana del G20 i temi connessi allo sviluppo sostenibile saranno predominanti. Un tema su cui l’Italia è molto attenta. Sostenibilità ed economia circolare sono state poste al centro anche del Manifesto di Assisi, firmato da numerose aziende italiane. 

Non sprechiamo la crisi della pandemia per ricostruire un passato vecchio che non può tornare o per proteggere un modello economico che ci ha portato al disastro, basato solo sul Pil e sul consumo ad ogni costo, temi che il Club di Roma aveva già evidenziato cinquant’anni fa, ha ricordato la co-presidente Sandrine Dixson-Declève: abbiamo l’opportunità di cambiare, non facciamolo perché spinti da una tragedia mondiale ma con un disegno che guardi al futuro e prenda in considerazione le prossime generazioni e il benessere delle persone e dell’ambiente.

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