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Così i sussidi al carbone bruciano lo sviluppo dell’Asia

indonesia mercato del carbonio
Foto di Pixource da Pixabay

Un rapporto dell’Asian Development Bank

(Rinnovabili.it) – Se l’Asia non darà in fretta un taglio ai sussidi al carbone, metterà a rischio le sue stesse prospettive di sviluppo. Investire in energie pulite e abbandonare le fossili conviene, a fare i conti giusti: i benefici superano di ben 5 volte (del 260%) le spese previste. Ad affermarlo è l’Asian Development Bank in un rapporto pubblicato di recente. Secondo l’istituto, da qui al 2030 si potrebbero evitare 346mila morti premature l’anno se i paesi asiatici centrano i loro obiettivi di transizione. Il grosso dell’impatto del passaggio alle rinnovabili dipende dalla riduzione dell’inquinamento atmosferico.

Il peso dei sussidi al carbone

Come? Uno degli interventi a cui non si può rinunciare, si legge nel dossier, è l’introduzione di un prezzo del carbonio. Senza carbon price la transizione resta possibile ma costerebbe molto di più. Il prezzo più efficiente, per l’Asian Development Bank batte intorno ai 70 $/t nel 2030 e raddoppia a 150 $/t per metà secolo.

Poi c’è il capitolo più importante, quello dei sussidi al carbone. “L’Asia in via di sviluppo ha speso 116 miliardi di dollari nel 2021 per sovvenzionare i combustibili fossili, e questi sussidi sono molto più alti di quelli per le energie rinnovabili. Il costo dei sussidi ai combustibili fossili, pari a circa l’1% del PIL, si avvicina al costo politico dello scenario di decarbonizzazione più ambizioso di questo dossier”, scrivono gli autori.

Quali sono i rischi? Il rapporto mette in fila l’esposizione del continente a diversi tipi di rischio climatico. È in Asia che vive il 70% della popolazione mondiale minacciata dall’aumento del livello dei mari. E agricoltura e pesca – settori direttamente impattati dalla crisi climatica – danno lavoro a 1 persona su 3 nella regione. Secondo le stime, in uno scenario emissivo ad alta intensità di CO2 la perdita di Pil può arrivare al 24% complessivo, con un-35% in India e un -30% nel Sud-Est asiatico al 2100.

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