Il capitolo perdite e danni sarà lo scoglio su cui naufraga la COP27?
(Rinnovabili.it) – Il fallimento o successo della COP27 è appeso in gran parte a un segnaposto. Quello al punto 42 della nuova bozza di cover decision rilasciata stamattina alle 9. Dove sarà inserito un paragrafo con l’esito dei negoziati sulle compensazioni per perdite e danni (loss & damage). Sempre che i delegati riescano a trovare un accordo, cosa tutt’altro che scontata visto che le posizioni sono ancora molto polarizzate.
Perdite e danni, lo scoglio su cui naufraga la COP27?
Il documento pubblicato stamattina è finalmente una bozza ordinata e organica, più avanzata rispetto alla semplice lista di elementi fatta circolare ieri dalla presidenza egiziana della COP27. Ma è anche un testo scarno, molte parti sono ancora mancanti e c’è soprattutto ben poca ambizione. La novità più grande sono i punti sui loss & damage, cioè le compensazioni per i danni della crisi climatica che i paesi ricchi dovrebbero garantire ai paesi più vulnerabili.
Per la prima volta il tema delle compensazioni per perdite e danni conquista un capitoletto dedicato, e questa è una buona notizia. Forse questo tema non è ancora, davvero, diventato la terza gamba dell’accordo di Parigi (dopo mitigazione e adattamento) ma sicuramente ha fatto irruzione nel processo delle COP e resterà al centro dell’agenda per i prossimi due anni.
La bozza di decisione finale, però, tradisce ancora l’enorme distanza che separa le parti. Non è scontato che si riesca a trovare una formula che soddisfi tutti e che non sia, semplicemente, una serie di frasi vaghe senza sostanza, nelle poche ore che mancano alla fine ufficiale della COP27. Che per questo motivo può prolungarsi nel fine settimana, come già accaduto in molte occasioni passate.
Il punto 42, l’ultimo del capitoletto su perdite e danni, è ancora occupato dal solo placeholder. Nei negoziati si usa mettere un segnaposto per indicare il punto in cui andrà inserita la decisione finale i cui dettagli sono ancora in discussione. Se non si arriverà a un testo condiviso, questo capitolo resterà vuoto di sostanza, un semplice appello alla necessità di occuparsi del tema.
I punti precedenti, intanto, rivelano che il tentativo della Cina di forzare la mano sul perimetro del loss & damage sembra aver aperto qualche breccia. Il punto 39 inserisce sotto l’etichetta perdite e danni sia “gli eventi a lenta insorgenza” (slow onset events), come l’aumento del livello dei mari, sia le “perdite economiche e non economiche”. Erano elementi inseriti nella bozza di testo preparata l’altro ieri da Pechino per mettere spalle al muro Europa, Stati Uniti e altri paesi a economia avanzata.
Non si parla delle fossili (tutte)
L’altra grande occasione sfumata alla COP27 – se non ci saranno variazioni di rotta – riguarda le fonti fossili. La nuova bozza di cover decision infatti non ha cambiato una virgola rispetto a quella di 24 ore prima. Continua a chiedere la riduzione (phase down) del solo carbone, senza citare anche petrolio e gas. Un allargamento che era stato chiesto da India, Europa, Stati Uniti e altri paesi. Ma che evidentemente si è infranto contro il muro alzato da altri paesi produttori.
Il fatto che nel 2022, dopo 30 anni di processi COP, non si riesca ancora a nominare tutti gli idrocarburi come parte del problema, rivela quanto la risposta alla crisi climatica cammini sempre su un confine molto sottile tra successo e fallimento. E sempre al punto 15 continua a esserci il riferimento alla razionalizzazione, a fianco dell’eliminazione (phase out), dei “sussidi inefficienti ai combustibili fossili”. Un passo indietro rispetto alla COP26.
Finanza per il clima: numeri e appelli
Per il resto, la bozza di accordo della COP27 riserva qualche buon avanzamento e molti punti dove l’ambizione è minima o invariata rispetto a 12 mesi fa. Al punto 1 si cita espressamente il “bisogno urgente” di affrontare le “crisi globali intrecciate” del climate change e della perdita di biodiversità. Non è scontato legare così i due temi. Ma è indispensabile farlo per avere successo. Il punto 7 mantiene il target degli 1,5°C dopo che per giorni si era temuto che venisse cancellato in favore del più blando 2°C.
Il punto 8 richiede riduzioni nelle emissioni di gas serra che siano “immediate, profonde e continuative”, dove l’accento su “immediate” è certamente positivo (sempre che sopravviva): nei comunicati G20 del 2021 e di quest’anno questo aggettivo non ha mai trovato posto nonostante i tentativi dei paesi più ambiziosi. Collegato a questo è il punto 19 dove si chiede ai paesi che non l’hanno fatto di aggiornare i loro NDC entro la COP28. Presentare nuovi contributi nazionali volontari con piani climatici più ambiziosi entro quest’anno era la soluzione trovata a Glasgow per salvare il salvabile. Un ritardo di almeno 2 anni non è certo positivo.
Ma va letto insieme al punto 49, dove si fa riferimento alla cifra di 5.600 mld $ entro il 2030 come ammontare necessario perché i paesi meno sviluppati possano allineare agli 1,5°C i loro NDC. Ancora una volta, la finanza per il clima è il punto cruciale della diplomazia climatica. Su questo versante, però, la COP27 per ora non va oltre il notare che i flussi del 2019-2020 sono stati 803 mld $, circa il 31-32% del totale necessario. Altri numeri, che potrebbero essere usati per definire i target durante le prossime COP. Un passaggio positivo è quello in cui si chiede alle banche multilaterali per lo sviluppo e alle istituzioni finanziarie internazionali di triplicare il denaro mobilitato entro il 2025. Un punto, il 55, che riecheggia i tentativi di riformare l’architettura della finanza internazionale su cui si è spesa soprattutto la premier di Barbados, Mia Mottley.
C’è infine un passaggio interessante al punto 46, dove si “decide di istituire un programma di lavoro sulla transizione giusta” a complemento di quello su mitigazione.