La COP27 ha preso alcune decisioni controverse sull’articolo 6 del Paris agreement
(Rinnovabili.it) – Era difficile peggiorare il funzionamento degli scambi di crediti di carbonio previsti dall’articolo 6 dell’accordo di Parigi. La COP26 di Glasgow aveva completato il rulebook, cioè l’insieme delle regole di funzionamento dei diversi sistemi imbastiti nel 2015, lasciando molte scappatoie agli inquinatori. La COP27 ha proseguito sulla stessa lunghezza d’onda: ha cancellato qualsiasi traccia di trasparenza dal processo e lo ha reso potenzialmente inutile, se non dannoso, per il clima.
Nel quarto affondo sugli esiti della COP27 di Sharm analizziamo cosa è scaturito dai negoziati sull’articolo 6.2, che riguarda le azioni bilaterali per ridurre le emissioni di gas climalteranti e sull’articolo 6.4, che istituirà il nuovo mercato globale del carbonio. Gli approfondimenti precedenti hanno toccato l’accordo su perdite e danni, le decisioni sul fronte della mitigazione e l’avanzamento dei negoziati sul dossier della finanza per il clima.
La COP27 cancella la trasparenza
Partiamo dal primo punto, il secondo comma dell’articolo 6 dell’accordo di Parigi. A Glasgow sono state definite gran parte delle regole per gli ITMOs (Internationally Transfered Mitigation Outcomes), cioè dei crediti che vengono generati con la riduzione delle emissioni, sia da privati che da attori pubblici, e che possono essere scambiati a livello internazionale tramite accordi fra governi. Questi crediti valgono ai fini della performance climatica complessiva di un paese.
La decisione principale della COP27 consiste nel rendere impenetrabile il processo di creazione e compravendita di questi crediti. Il lungo documento approvato a Sharm, molto tecnico, prevede un intero capitolo dedicato alla “confidenzialità” degli scambi di crediti di carbonio. Il punto 22 stabilisce che gli stati “possono designare” le informazioni fornite al meccanismo centralizzato che tiene traccia dei crediti “come confidenziali”.
In altre parole: possono far sì che la natura dei crediti acquistati o venduti non sia sottoposta a pubblico scrutinio e che si possa conoscere soltanto il valore nominale del credito, cioè a quante emissioni di CO2e equivale.
A complicare ancora di più il processo di controllo e verifica interviene un processo di tracciamento dei crediti a dir poco barocco, che non può assicurare che le informazioni comunicate dalle parti rispetto ai crediti scambiati siano comparabili. Vanificando così ogni tentativo di valutarne l’impatto reale sul clima.
Tra geoingegneria e doppio conteggio
Sul nuovo mercato globale del carbonio, la COP27 è rimasta bloccata sulla definizione di un termine chiave come “rimozioni” ed è riuscita a chiudere una delle scappatoie più vistose che erano rimaste dopo il summit di Glasgow. A Sharm i delegati hanno discusso di cosa deve valere come “rimozione” di CO2 dall’atmosfera. La prima bozza, però, dava una definizione larghissima. Con dei rischi da non sottovalutare.
Permetteva, ad esempio, di contare come rimozioni quelle ottenute dal sequestro di CO2 negli oceani. Un dettaglio che avrebbe creato una corsa alla geoingegnerizzazione della capacità di assorbimento di anidride carbonica dei mari, hanno notato alcune ong che seguivano i lavori della COP27. I requisiti ambientali e sociali minimi restavano in capo al solo paese dove avviene la rimozione, moltiplicando così il rischio di frodi e soprattutto di crediti generati con violazioni dei diritti umani. Il testo è stato poi ritirato. Ma questo tentativo la dice lunga sulla direzione che potrebbe prendere l’articolo 6.4 in futuro.
Unica nota positiva è una decisione che evita il doppio conteggio di alcuni tipi di crediti per la riduzione delle emissioni. Questi crediti, generati senza autorizzazione ai fini del raggiungimento degli obiettivi domestici sul clima o per rispettare i contributi nazionali volontari dichiarati all’Unfccc, possono valere solo per il paese dove avviene il taglio delle emissioni.
(lm)