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COP26 di Glasgow, compromesso sporco su sussidi fossili e nuovi NDC

COP26 di Glasgow: delude l’ultima versione della cover decision
crediti: COP26 via Flickr (CC BY-NC-ND 2.0)

I documenti pubblicati la mattina dell’ultimo giorno di negoziati alla COP26 di Glasgow

(Rinnovabili.it) – Resiste il phase out dei sussidi alle fossili anche se acciaccato. Quasi pronto il compromesso su ogni quanto aggiornare i piani climatici nazionali, ma la soluzione ha un sapore troppo pilatesco. Passi avanti anche sul nodo della finanza climatica senza, però, l’ambizione chiesta da molti. L’ultima versione della cover decision partorita della COP26 di Glasgow, pubblicata stamattina poco dopo le 8 italiane, tenta di salvare il salvabile – e poco altro.

Sono due i testi di riferimento, quello del CMA (il gruppo di paesi che hanno firmato l’accordo di Parigi) e quello della presidenza della COP26 di Glasgow. Non sono i documenti tecnici in cui sono discussi i dettagli dei temi negoziati, come i finanziamenti per adattamento, mitigazione e loss & damage, la creazione di un mercato del carbonio globale, o la finalizzazione del rulebook di Parigi. Sono, invece, dei testi-cornice che “danno il tono” del comunicato finale vero e proprio che vedrà la luce stasera, salvo prolungamenti di qualche giorno della conferenza sul clima. Ecco i punti principali.

Dove va la COP26 di Glasgow?

Sussidi alle fossili – Resta l’impegno ad abbandonare gradualmente i sussidi alle fossili, ma ritornano dalla finestra due aggettivi galeotti. La nuova bozza ormai parla di “accelerare il phase out del carbone non abbattuto e dei sussidi inefficienti per i combustibili fossili”. Il “non abbattuto” (unabated) lascia spazio a nuove centrali a carbone che applichino tecnologie per la cattura e il sequestro della CO2, mentre ”inefficienti” mette al riparo l’industria fossile: nessuno chiuderà davvero i rubinetti a petrolio e gas e le aziende potranno usare il paravento di progetti più “puliti” per continuare a estrarre, commerciare e bruciare combustibili fossili.

Finanza climatica – Il nuovo testo calca un po’ la mano sulla necessità di aumentare i finanziamenti per il clima. Ma resta ancora lontano dal fissare in modo chiaro delle soglie ambiziose o degli obblighi veri e propri. L’aggiunta di un “si nota con profondo rammarico” che i paesi sviluppati non hanno centrato l’obiettivo di 100 mld entro il 2020 apre qualche spiraglio per negoziare termini più favorevoli ai paesi in via di sviluppo, cioè i destinatari di questi fondi. Unico punto concreto: si chiede ai paesi di raddoppiare la quota sborsata entro il 2025 (portando così il totale a 200 mld). Ma il gruppo negoziale africano chiede che per il post-2025 la quota salga a 1.300 mld di dollari l’anno, che si tenga conto dei miliardi ad oggi mancanti, e che ci sia un bilanciamento tra la spesa per la mitigazione e quella per l’adattamento.

Loss & damage – Sul fronte L&D ci sono passi avanti per il Santiago network. I fondi L&D sono quelli che in teoria saranno destinati a ripagare le perdite e i danni subiti dai paesi a causa dell’impatto del cambiamento climatico. Sono previsti dall’accordo di Parigi ma, in 6 anni, le economie più avanzate (responsabili della quota maggiore delle emissioni storiche) si sono ben guardate dal dare l’ok perché temono di doversi svenare. Alla COP25 di Madrid era stato creato il Santiago network, un organismo di coordinamento che deve calcolare catalizzare l’assistenza tecnica, il flusso di competenze e di risorse dai paesi più ricchi verso quelli più vulnerabili per prevenire o compensare i danni causati dal climate change. Finora il network è rimasto solo sulla carta: la nuova bozza prevede di dotarlo di una “technical assistance facility”, un passo avanti (anche se piccolo) per metterlo in condizioni di operare davvero.

Nuovi NDC – Si avvicina un compromesso sulla frequenza con cui aggiornare i contributi nazionali volontari (NDC), ovvero i piani con gli obiettivi sul clima che ogni paese deve presentare all’Unfccc. (Il tema è affrontato in un documento separato.) Qui il nodo è se aggiornarli ogni 5 o 10 anni. La prima opzione permette di correggere prima e meglio la rotta per puntare verso gli 1,5 gradi e rende più difficile per i governi rimandare le scelte più difficili alle legislature successive. Il testo proposto stamane si orienta sui 5 anni, ma oscilla ancora tra un obbligo per tutti (“si decide che”) o un semplice invito (“si invita a”). Prevede che i paesi presentino nuovi NDC nel 2025 con orizzonte 2035, e li aggiornino ancora nel 2030 con orizzonte al 2040, e via di questo passo. E c’è anche una scappatoia: il punto seguente stabilisce che “i paesi che non sono nella posizione per comunicare nel 2025” i nuovi NDC, lo facciano solo nel 2030 (con orizzonte 2040), per poi aggiornarli con cadenza quinquennale. Chi stabilisce se il paese è nella posizione di presentarne di più ambiziosi? I paesi stessi. (lm)

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