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La Gran Bretagna ammette: la COP26 di Glasgow fallirà. E rimanda tutto al 2023

L’ambasciatrice UK all’Onu concede che l’obiettivo numero 1 del vertice sul clima è già fuori portata. In Scozia non si “consegnerà il carbone alla storia”. Dietro le quinte si lavora per una nuova tornata globale di impegni climatici più ambiziosi nel 2023

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La COP26 di Glasgow si terrà dal 31 ottobre al 12 novembre

(Rinnovabili.it) – Ci sono sempre più indizi che dicono che la COP26 di Glasgow non raggiungerà i suoi obiettivi. Ieri l’ambasciatrice britannica all’ONU Barbara Woodward ha ammesso che è molto difficile che il vertice sul clima riesca a siglare un accordo globale per dire addio al carbone. “Non abbiamo ancora ricevuto gli impegni che servirebbero”, ha spiegato la diplomatica mentre si imbarcava su un volo per la Scozia. Poche parole ma bastano a seppellire lo slogan ripetuto per mesi dal presidente della COP26 Alok Sharma: “Questo summit deve consegnare il carbone alla storia”.

Woodward sa che senza un assist dal G20 di Roma le speranze di cancellare in fretta il carbone dal mix energetico globale sono appese a un miracolo, e finora il vertice italiano non ha dato segnali incoraggianti su questo punto. Anzi, la bozza del comunicato finale trapelate in queste ore dimostra che l’accordo proprio non c’è, e per poter cantare vittoria lo stesso è stato modificato, annacquato e reso quasi inutile: riguarderà solo i finanziamenti al carbone verso l’estero ma non il carbone termico domestico.

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Non è l’unico grande problema per la COP26 di Glasgow. Attorno al summit da mesi viene alimentata un’aspettativa enorme con l’Onu che lo ha inquadrato come l’ultima chiamata per l’umanità e una miriade di organizzazioni internazionali e di attivisti, dall’IEA in giù, che ribattono il concetto in tutte le salse. Nessuno si è inventato nulla, anzi: è il messaggio lanciato dall’ultimo aggiornamento del rapporto dell’IPCC, il Panel intergovernativo sul cambiamento climatico, che raccoglie i risultati più attendibili della scienza del clima e li mette a sistema tracciando la rotta che la politica dovrebbe seguire. In poche parole, se non agiamo subito, concentrando l’azione climatica da qui al 2030, sforeremo la soglia di 1,5 gradi e non riusciremo a evitare gli impatti più devastanti del climate change. Ecco, tutto questo non trova molto riscontro nei negoziati che stanno portando alla COP26 di Glasgow.  

Il punto è sempre quello sollevato da Woodward: mancano impegni con ambizione sufficiente da parte degli Stati. Molti paesi e quasi tutti i maggiori inquinatori mondiali hanno presentato nuovi impegni sul clima negli ultimi mesi, ma la somma dei loro tagli alle emissioni non è ancora sufficiente per rispettare l’accordo di Parigi. Secondo l’Emission Gap Report 2021, andiamo verso un mondo 2,7°C più caldo. Ed è davvero difficile che le cancellerie accettino di migliorare drasticamente i loro piani di transizione in Scozia dopo averli appena impostati.

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Questo era già piuttosto chiaro a chi ha osservato da vicino il lavoro della diplomazia climatica in quest’ultimo anno ma adesso c’è una conferma ufficiale. La Gran Bretagna, infatti, sta lavorando per far promettere agli Stati, durante il vertice sul clima che inizia il 31 ottobre, di aggiornare i loro piani già nel 2023. Bisognerebbe presentare i cosiddetti contributi nazionali volontari (NDC) aggiornati. Peccato che l’idea non piaccia molto alle economie emergenti: temono che una transizione troppo rapida finisca per danneggiare le loro economie e bloccare la crescita. Per questo chiedono più soldi ai paesi ricchi per accompagnare questo processo: il vero nodo della COP26 di Glasgow potrebbe essere la finanza climatica. (lm)