Uno studio apparso su Trends in Ecology & Evolution sottolinea i rischi connessi col selezionare certi tipi di piante per i progetti di riforestazione usando come unico criterio la loro capacità di assorbire e stoccare CO2. Così si tralasciano tutti gli altri servizi ecosistemici e si diminuisce la resilienza delle aree in cui sono localizzati i progetti
I progetti di carbon offset puntano quasi sempre su teak, eucalipto, pino
(Rinnovabili.it) – Pochi benefici sul fronte emissioni, tanti rischi in più per gli ecosistemi e la biodiversità. I progetti di riforestazione nelle foreste tropicali condotti dalle aziende che vendono compensazioni di carbonio (carbon offset) fanno più danno che altro. Il motivo? Scelgono quasi sempre monocolture. Lo afferma uno studio pubblicato su Trends in Ecology & Evolution.
Perché le compensazioni di carbonio basate su monocolture sono dannose?
Sono molti gli aspetti che rendono questi progetti ben poco adatti sia per raggiungere gli scopi di stoccaggio di CO2 sia per inserirsi in modo armonico nei contesti locali. Il più evidente, sostengono gli autori, è la scelta di piante spesso non native, come pino, eucalipto e teak. Preferite non per considerazioni legate agli ecosistemi in cui vengono inserite ma per il loro valore commerciale.
Le conseguenze possono essere molto pesanti. Dall’acidificazione dei suoli all’accresciuta competizione a cui sono costrette le piante native, fino al favorire la propagazione di incendi. “Le monocolture di piantagioni (ad esempio, le piantagioni di teak – Tectona grandis – e di eucalipto – Eucalyptus globulus) riducono varie funzioni dell’ecosistema dall’abbassamento del deflusso dei corsi d’acqua all’acidificazione del suolo e alla riduzione della crescita di altre piante locali”, si legge nello studio.
Tutto ciò deriva da un approccio che poggia su basi radicalmente diverse da quelle che servirebbero per supportare la tutela e il ripristino degli ecosistemi: i progetti di compensazioni di carbonio riducono gli ecosistemi ad un unico valore, il carbonio appunto, e tralasciano la complessa rete di servizi ecosistemici che questi forniscono.
“Enfatizzando una particolare funzione ecosistemica su scala così ampia, stiamo effettivamente omogeneizzando la composizione dei tratti funzionali degli ecosistemi tropicali, ad esempio, selezionando specie con un rapido potenziale di stoccaggio del carbonio, selezioniamo tratti che conferiscono una rapida crescita degli alberi”, sottolineano gli autori. Abbassando, nel frattempo, la resilienza di questi ecosistemi di fronte a fattori di cambiamento come gli incendi, ma anche agenti patogeni, insetti e siccità.