Un rapporto di Greenpeace suggerisce le priorità per dare una rapida attuazione all’accordo raggiunto al Palazzo di Vetro lo scorso giugno, che prevede tutele agli oceani contro tutte le minacce principali
Il Trattato è lo strumento principale per realizzare in mare il target 30×30 stabilito alla Cop15
(Rinnovabili.it) – Undici milioni di chilometri quadrati ogni anno. Una superficie pari a quella del Canada. È l’estensione di oceano a cui, ogni 12 mesi da qui al 2030, dev’essere posta sotto tutela per raggiungere l’obiettivo di proteggerne il 30% entro questo decennio. Un compito gravoso, quello su cui si sono impegnati quasi 200 paesi alla Cop15 di Montréal lo scorso dicembre. Tanto più che lo stato di salute degli oceani continua a peggiorare. Per invertire rapidamente la rotta bisogna dare in fretta applicazione al Trattato ONU sull’Alto Mare, approvato lo scorso giugno e (forse) in via di ratifica all’assemblea generale dell’ONU tra una settimana.
Nuova analisi sulla pesca d’altura
Lo afferma un rapporto pubblicato oggi da Greenpeace che descrive in dettaglio le minacce cumulative che affliggono gli oceani. E aggiunge un tassello, una nuova analisi globale dell’attività di pesca d’altura. Tra il 2018 e il 2022, l’attività di pesca apparente in alto mare è aumentata dell’8,5% fino a quasi 8,5 milioni di ore.
Ma questo dato è molto peggiore, arrivando al 22,5%, nelle aree identificate come prioritarie per la protezione prevista dall’accordo 30×30 raggiunto alla Cop15 (tutelare il 30% dei mari entro il 2030). “Queste tendenze mostrano che la realtà in mare si sta muovendo nella direzione opposta rispetto alle ambizioni delineate nel Trattato sull’Alto Mare”, commenta l’associazione ambientalista.
Una sfida, quella della pesca industriale e dell’overfishing, che si aggiunge alle minacce dell’acidificazione, della deossigenazione e del riscaldamento degli oceani, nonché all’inquinamento, incluso quello derivante dalla plastica. Senza dimenticare la minaccia emergente del deep-sea mining.
Come implementare in fretta il Trattato ONU sull’Alto Mare?
Per implementare in fretta il Trattato ONU sull’Alto Mare, Greenpeace propone di incardinare il processo di ratifica su una conferenza delle parti (Cop) e un ente con compiti tecnico-scientifici che presieda alla sua traduzione in pratica. L’idea è di “blindare” il processo di progressiva tutela degli oceani creando dei sistemi di monitoraggio che tengano le redini di un processo per sua natura multilaterale. In parallelo al processo di ratifica, sottolinea l’associazione, gli stati dovrebbero già presentare delle proposte di santuari marini.