Il ministro della Transizione ecologica pensa che “prima si dovrebbero potenziare le infrastrutture di Sicilia e Calabria”. Sul Recovery: “Ci sono in ballo grandi infrastrutture e sappiamo che dobbiamo lavorare molto sulla catena dei permessi. Non posso assicurare ora che tutti i soldi verranno spesi, ma l'impegno è enorme”
di Tommaso Tetro
(Rinnovabili.it) – “Il ponte sullo Stretto di Messina mi lascia perplesso. Lì da un lato c’è una situazione di sismicità critica, dall’altro lato penserei più a potenziare le infrastrutture fondamentali per Sicilia e Calabria. Per ora aspetterei, ma non ho studiato il progetto”. Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani scende in campo sull’opera che dovrebbe collegare la Sicilia alla Calabria.
Dell’infrastruttura sospesa se ne parla da anni. Di tanto in tanto ritorna di moda, rispunta fuori dai cassetti, e diventa nelle intenzioni ‘politiche’ un’opzione sul tavolo delle priorità per l’Italia. Resta un elemento diviso, e non smette di sollevare polemiche.
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“Più che per il Ponte sullo Stretto di Messina – osserva Rossella Muroni, vicepresidente della componente FacciamoEco-Verdi – un’idea partorita nel passato che ci fa restare nel Novecento e già bocciata da un precedente esecutivo, si investa per dotare Calabria e Sicilia di una estesa rete di alta velocità e di doppi binari, si aumenti il numero dei treni per i pendolari e si rafforzino le linee di tram e metropolitane. Per una mobilità pubblica efficiente e sostenibile, per il diritto a muoversi. E – continua – si colga questa occasione per mettere davvero la parola fine sul progetto del Ponte sullo Stretto e su questa grande operazione di distrazione di massa. Il Paese non ha né risorse, né tempo da perdere”.
La sfida sarebbe quella di inserire l’opera nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ma l’obiezione è che per il Recovery non si possa pensare a progetti vecchi, quantomeno datati.
“Ci sono in ballo grandi infrastrutture e sappiamo che dobbiamo lavorare molto sulla catena dei permessi – rileva ancora Cingolani – con il Recovery plan possiamo trovarci in situazioni imbarazzanti: se ci mettiamo anni a dare permessi e a mettere in piedi infrastrutture, il rischio è che poi dovremmo restituire i soldi all’Unione europea, perché abbiamo tempi certi e stretti. Non posso assicurare ora che tutti i soldi verranno spesi, ma l’impegno è enorme”.
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“Il lavoro per il Recovery plan procede in modo efficace e il 30 aprile verrà consegnato il programma all’Unione europea – conclude Cingolani – il programma è molto robusto. C’è un piano integrato, senza soluzioni verticali, ma in Italia sappiamo di essere lenti e di avere procedure molto complesse”.