La direttiva europea sul costo dell’inquinamento “sleale” sarà applicata nel nostro continente nel 2026, ma le insidie sul lungo percorso approvativo, e della concreta efficacia della norma, sono ancora molto alte visto gli interessi in campo
di Gianni Girotto
A volte abbiamo la soluzione a portata di mano, una soluzione talmente banale che nemmeno la possiamo immaginare. Ma sarebbe riduttivo fermarsi qui, sono convinto che non si voglia accorgersi della soluzione, o meglio che non se ne discuta a sufficienza e quindi non si arrivi ad utilizzarla pienamente. E chi sono costoro che accuso di fare opera di blocco? Ma naturalmente chi beneficia dello status quo attuale.
Parliamo del problema dei problemi, le emissioni inquinanti e, ancora più in generale, della esternalità ambientale negativa. Questo problema riguarda non solo la sfera ambientale e climatica – che tutti conosciamo – ma anche più prosaicamente la sfera di una concorrenza giusta e paritetica. E questo semplicemente perché se determinate Nazioni hanno regole ambientali poco severe, le loro industrie possono produrre a costi più bassi, e quindi esportare merci che sono estremamente concorrenziali rispetto ai prodotti similari fabbricati in Paesi che hanno regole ambientali più severe, tra cui appunto Italia e UE in generale.
La soluzione? Molto semplice. Tassare globalmente qualsivoglia produzione, in maniera proporzionale alla quantità di esternalità ambientali negative prodotte, calcolate chiaramente nell’intero ciclo di vita e smaltimento.
“Ma la legge esiste?”
È dal 2004 che l’Unione Europea ha ufficializzato il principio “chi inquina paga” con un’apposita direttiva. Ed effettivamente in Europa tale direttiva è in misura sostanziale applicata con una serie di norme tra cui probabilmente la più famosa è l’ETS.
Il problema è che queste norme sono circoscritte all’Unione Europea, cioè si applicano all’interno dell’Unione Europea. Nel resto del mondo, in particolare Cina, India, Brasile, Russia ecc, le normative ambientali non sono così stringenti.
Pertanto negli ultimi anni, dopo essersi tutti resi conto del fatto che i Paesi con una legislazione ambientale meno severa da una parte rappresentano una concorrenza formidabile a costi appunto inferiori, dall’altra producono il 90% delle emissioni inquinanti globali, è stata ideata finalmente dall’UE una “tassa alla frontiera” da applicare pertanto alle merci che provengono dall’esterno, tassa che si indica con l’acronimo CBAM – Carbon border adjustment mechanism).
Ma attenzione, questo sistema avrà applicazione concreta solo a partire dal 2026 (da ottobre 2023 è partita la fase di “messa a punto”) ed inoltre non è a mio avviso né quantitativamente né qualitativamente sufficiente. In ogni caso, essendo appunto il CBAM ancora in fase di completamento, vi è il concreto rischio che, come per altre normative, rimangano dei “buchi/lacune” o comunque modi per aggirare/limitare gli obblighi e gli oneri previsti.
È poiché in gioco vi sono molti miliardi/anno, è bene che la società tutta e naturalmente le parti politiche dedichino enorme attenzione a questa materia di importanza fondamentale.
Come noto, la transizione ecologica ha un costo d’investimento iniziale assolutamente rilevante, ed a maggior ragione sarebbe indispensabile che gli incassi derivanti da questo sistema di tassazione venissero dedicati al suo finanziamento. Una sorta di meccanismo di malus/bonus.
Ma mentre l’Europa ne sta parlando e sta legiferando in merito, registro in Italia scarso dibattito ed attenzione, ed è un vero peccato perché – come troppo spesso accade – ci ritroviamo poi a lamentarci di provvedimenti europei che magari non ci piacciono, ma sui quali poco abbiamo contribuito nella discussione.
Il mio è un appello per tutti: aumentiamo il livello di attenzione e di coinvolgimento su una materia basilare per la transizione ecologica.