Rinnovabili • Centrali a carbone: crollo del 76% dei nuovi progetti dopo Parigi Rinnovabili • Centrali a carbone: crollo del 76% dei nuovi progetti dopo Parigi

L’addio alle centrali a carbone? Dipende da appena 6 paesi

Oltre a Pechino, il futuro della fonte fossile più inquinante dipende dalle scelte di India, Vietnam, Indonesia, Turchia e Bangladesh. Insieme hanno l’82% delle nuove centrali in cantiere. Dall’accordo di Parigi a oggi sono stati cancellati nel mondo il 76% dei cantieri

Centrali a carbone: crollo del 76% dei nuovi progetti dopo Parigi
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La Cina detiene il 55% della nuova capacità da centrali a carbone in programma

(Rinnovabili.it) – L’accordo di Parigi ha tagliato le gambe alle centrali a carbone. Dal 2015 a oggi sono stati accantonati più di ¾ (il 76%) dei progetti in cantiere. Progetti insostenibili se vogliamo mantenere il riscaldamento globale al di sotto della soglia pattuita nella capitale francese. E la fuga dal carbone è avvenuta a passo davvero spedito, sottolineano in un rapporto pubblicato oggi E3G, Ember e Global Energy Monitor.

Sono 44 i paesi che, dopo aver cancellato i piani per costruire nuove centrali a carbone, hanno preso l’impegno di non tornare sui loro passi. Ma la svolta seguita al 2015 mette in queste stesse condizioni almeno altri 40 paesi, che di fatto hanno detto addio alla fonte fossile ma non hanno ancora formalizzato questo passo.

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Finora abbiamo corso: possiamo andare ancora più veloci? La risposta a questa domanda è sì. Esistono delle scorciatoie, spiegano gli autori del rapporto. La strada più breve passa da appena 6 paesi, che da soli rappresentano l’82% delle nuove centrali a carbone ancora in costruzione o in programma. La parte del leone la gioca la Cina, che si accaparra il 55% della nuova capacità totale, seguita da India, Vietnam, Indonesia, Turchia e Bangladesh. E ancora la Cina, nota il rapporto, può dare un contributo importantissimo: senza i suoi finanziamenti per il carbone all’estero metterebbe in soffitta i piani per altri 40 GW sparsi in 20 paesi.

La parte finale della coda, invece, si estende per 31 paesi. Ma anche qui si possono fare passi avanti in poco tempo e, soprattutto, con ben pochi sacrifici. In 16 di questi paesi, infatti, il rapporto spiega che c’è solo un impianto in programma. Cancellarlo non stravolge la sicurezza energetica nazionale ma ha ricadute positive sul clima globale.

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“L’economia del carbone è diventata sempre più non competitiva rispetto alle energie rinnovabili, mentre è aumentato il rischio di immobilizzazioni”, sostiene il direttore associato di E3G Chris Littlecott. “I governi possono ora agire con fiducia per impegnarsi a non impegnarsi per “niente nuovo carbone”.