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Cemento, l’industria che inquina come l’UE si mette a dieta di CO2

Giù le emissioni del 25% entro il 2030 in uno dei settori considerati hard to abate, dove è complicato tagliare la CO2. E poi net-zero a metà secolo. Traguardi che saranno raggiunti senza ricorrere all’offsetting, la pratica che compensa le emissioni prodotte senza in realtà tagliarle

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L’industria globale del cemento promette la neutralità climatica entro il 2050

(Rinnovabili.it) – Il cemento si mette a dieta di CO2 e promette di ridurre al minimo l’impatto del settore sul clima. È l’impegno che ha preso ieri la più grande organizzazione al mondo di questo comparto, la Global Cement and Concrete Association (GCCA): un colosso che riunisce 40 dei produttori più grandi del pianeta e qualcosa come l’80% dell’industria con sede al di fuori della Cina. Alla posizione del GCCA, però, hanno aderito anche alcune realtà cinesi, aziende che pesano per circa 1/5 del mercato del Dragone.

Alla vigilia della COp26 di Glasgow, anche il settore mondiale del cemento decide di fare la propria parte nella transizione ecologica. Una decisione molto importante: se questo comparto fosse uno Stato, produrrebbe la stessa CO2 dell’Unione Europea ovvero il 7-8% delle emissioni totali a livello globale. Quali sono le promesse del GCCA?

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L’organizzazione di categoria, che rappresenta uno dei settori cosiddetti ‘hard to abate’, difficili da decarbonizzare, intende tagliare le emissioni di CO2 del 25% entro questo decennio e punta alla neutralità climatica entro la metà del secolo. Come lo farà? La promessa ha luci e ombre.

Molto significativo il rifiuto chiaro ed esplicito di ricorrere alla pratica dell’offsetting. Il comparto del cemento non utilizzerà crediti di carbonio per “rinverdire” l’industria senza in realtà tagliare di un grammo le sue emissioni di CO2: i tagli saranno reali. Altri aspetti positivi: l’industria del cemento agirà in autonomia, anche senza input statali (anche se riconosce che l’introduzione di sistemi ETS accelererebbe il processo). Qualche dubbio invece sorge sul ricorso alle tecnologie per la cattura e lo stoccaggio della CO2, che secondo la roadmap presentata dovrebbero abbattere 1/3 delle emissioni di settore fra il 2030 e il 2050. Le tecnologie CCS, infatti, sono ancora poco diffuse e non hanno un vero mercato, per il momento.

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“Questo è un traguardo importante, è una grande cosa. Il calcestruzzo è il secondo materiale più utilizzato al mondo dopo l’acqua”, sottolinea Thomas Guillot, ad del GCCA. “Siamo il primo settore a farlo come impegno congiunto, ma spero che ce ne saranno molti di più e questo ispirerà molti altri a fare lo stesso”.