Il dossier di BCG sulle prospettive per la direct air capture (DAC)
(Rinnovabili.it) – I rapporti dell’Ipcc dicono chiaramente che per restare sotto gli 1,5 gradi servono tecnologie per la rimozione della CO2 dall’atmosfera (carbon dioxide removal, CDR). Su scala più vasta o più contenuta a seconda degli scenari emissivi, ma sono indispensabili. Certamente non si potrà fare a meno di rimozioni di CO2 – artificiali, basate su soluzioni naturali, o un mix delle due – per raggiungere il target di emissioni nette zero. Ma qual è lo stato di queste tecnologie? E la curva di crescita che la più promettente di esse, la cattura diretta dall’aria, è realistica?
A queste domande prova a rispondere un dossier di BCG pubblicato di recente. E il risultato non porta esattamente una ventata di ottimismo ai fautori della direct air capture (DAC). Secondo gli autori dello studio, la cattura diretta dall’aria è utile a raggiungere gli obiettivi climatici solo se riesce a diminuire di costo alla stessa velocità del fotovoltaico. Ma lo deve fare nella metà del tempo.
Cambiare la curva di costo della cattura diretta dall’aria
La DAC offre la massima qualità di rimozione di CO2 in termini di scalabilità, permanenza e verificabilità, notano gli autori. È oltre 100 volte più efficiente del rimboschimento, rendendola una soluzione altamente scalabile. Può sequestrare le emissioni per molti secoli, offrendo la soluzione più permanente tra quelle disponibili. Inoltre, è facilmente tracciabile e verificabile rispetto ad altre soluzioni, come l’alcalinizzazione degli oceani.
Ma tutte queste buone premesse scricchiolano davanti alla rapidità dello sviluppo che dovrebbe avere la tecnologia per la cattura diretta dall’aria. “Affinché la tecnologia venga adottata su larga scala, il costo del DAC (il costo end-to-end della rimozione della CO2, compreso lo stoccaggio finale) dovrà scendere dagli attuali 600-1.000 dollari per tonnellata di CO2 a meno di 200 dollari per tonnellata e idealmente più vicino a 100 dollari per tonnellata entro il 2050, e preferibilmente prima”, si legge nello studio.
Sulla carta si può fare, scrivono i ricercatori. La DAC deve scendere di prezzo di circa il 75%, il fotovoltaico è calato del 90%. Ma lo ha fatto in 40 anni. “Per raggiungere una scala di gigatoni dobbiamo ottenere una riduzione analoga dei costi della DAC, ma in poco più della metà del tempo”. Per riuscirci bisognerebbe cambiare completamente paradigma.
Servono investimenti molto corposi, su una scala che non è paragonabile con quella raggiungibile con gli incentivi, pur generosi, previsti da provvedimenti come l’Inflation Reduction Act statunitense (credito fiscale di 180$/tCO2 sequestrata). Le aziende devono collaborare per lo sviluppo della tecnologia, ma per farlo dovrebbero rinunciare alla proprietà intellettuale. Per attirare altri investimenti bisognerebbe poi cambiare il modo in cui i sequestri da DAC vengono contabilizzati nei bilanci emissivi aziendali, rendendo più semplice usare questa tecnologia per compensare la propria impronta di CO2.