Accelera l’abbandono del carbone in Europa. Metà delle centrali ha già chiuso. L’ong Europe beyond coal: adesso più impegno dei governi su piani per il phase out e stop a finanza fossile
Spento il 162° impianto a carbone, sui 324 totali
(Rinnovabili.it) – L’Europa è al giro di boa sul carbone. Lunedì 22 marzo l’utility francese EDF (Electricité de France) ha annunciato che l’anno prossimo chiuderà la sua centrale a carbone da 2.188 MW di West Burton, nel nord dell’Inghilterra. Annuncio che fa salire il numero degli impianti su suolo europeo in chiusura prima del 2030 a 162, esattamente la metà dei 324 totali.
A tenere il conto (e a festeggiare) è Europe beyond coal, coalizione di movimenti della società civile impegnati in una campagna per il phase out del carbone. “Siamo alla fine dei giochi per l’industria del carbone in Europa – afferma Kathrin Gutmann, direttrice della campagna Europe Beyond Coal – Dopo anni di inarrestabile declino, metà degli impianti a carbone europei sono storia”. E rilancia con un nuovo appello per un impegno maggiore delle istituzioni nel programmare i phase out e per un giro di vite sulla finanza fossile: “I governi, le società energetiche e le istituzioni finanziarie devono ora pianificare un’uscita dal carbone entro il 2030 o prima, terminare tutti i flussi di finanziamento al carbone e al gas fossile e, invece, indirizzare il loro sostegno alle energie rinnovabili sostenibili e alla giusta transizione delle comunità colpite. I prossimi cinque anni vedranno la maggior parte degli stabilimenti rimasti”.
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Europe beyond coal sottolinea come il calo del carbone in Europa sia stato costante fin dal 2012, mentre le rinnovabili sono cresciute del 40% solo nella prima metà del 2020. Un’occasione che capita solo una volta per generazione, sottolinea la coalizione di Ong: la ripresa post-Covid non va sprecata.
Proprio la concorrenza con le fonti di energia pulita è il fattore che spinge più di ogni altro il carbone nel baratro. La coalizione nota infatti che nello stesso periodo di tempo, anche il tasso di chiusura degli impianti in America è stato simile a quello europeo. E addirittura è aumentato del 9% durante la presidenza di Trump. Tutto questo a dispetto delle politiche di sostegno al carbone fatte dall’ex inquilino della Casa Bianca, che ha passato buona parte della campagna elettorale del 2016 a ripetere ‘Trump digs coal’. Niente da fare: il mercato ritiene ormai il carbone un business poco promettente. E lo sta abbandonando.
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“La realtà dell’economia e della politica, insieme alla massiccia richiesta pubblica di proteggere il nostro clima e ripulire la nostra aria e acqua, significano che il carbone e altri combustibili fossili semplicemente non hanno futuro. Quattordici paesi europei lo capiscono e si sono lavati le mani dal carbone. I pochi rimasti hanno una scelta chiara: pianificare un’eliminazione graduale del 2030 ora, con tutti i vantaggi di un’energia rinnovabile pulita e a basso costo e dei fondi dell’UE per la transizione, o essere comunque costretti a effettuare la transizione in un secondo momento, ma in modo non pianificato e caotico questo è più doloroso per cittadini e lavoratori, danneggia la salute delle persone e deve essere pagato con i bilanci nazionali “, conclude Gutmann.
Gli ultimi paesi europei a dare un segnale sul carbone sono stati Danimarca e Ungheria. Copenhagen ha annunciato il 23 marzo che la sua ultima centrale chiuderà nel 2028, due anni in anticipo sulla tabella di marcia. Budapest ha fatto anche meglio: ha anticipato il phase out del carbone di 5 anni con una decisione di inizio marzo.