Rinnovabili • Centrali a carbone: crollo del 76% dei nuovi progetti dopo Parigi

Cosa pensa davvero la Cina del phase down del carbone deciso alla COP26

La priorità non dev’essere lo stop ma la sicurezza energetica. E comunque i primi a dover dire addio al carbone sono i paesi sviluppati. Che devono garantire tecnologia ma anche finanziamenti ai paesi in via di sviluppo, se pretendono che questi abbandonino il carbone. È la posizione di Pechino, che adesso si può appoggiare al testo del patto di Glasgow

Centrali a carbone: crollo del 76% dei nuovi progetti dopo Parigi
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Il ministero degli Esteri ha chiarito alcuni punti sull’addio al carbone

(Rinnovabili.it) – Durante la plenaria finale della COP26 è stato il ministro indiano dell’Ambiente a pretendere – e ottenere – che il patto di Glasgow parlasse di phase down (riduzione) e non phase out (abbandono) del carbone. Ma dietro la richiesta dell’indiano Bhupender Yadav c’è anche la Cina, che la pensa nello stesso modo. Ma cosa pensa esattamente Pechino del ruolo del carbone nella transizione energetica dei prossimi anni?

Qualche nuovo dettaglio lo ha dato lunedì Zhao Lijian, un portavoce del ministero degli Esteri cinese, poco dopo che il presidente della COP26 Alok Sharma aveva dichiarato urbi et orbi che Cina e India avrebbero dovuto spiegare pubblicamente il mezzo sabotaggio del summit sul clima.

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“In molti paesi in via di sviluppo, non tutti hanno accesso all’elettricità e la fornitura di energia non è adeguata”, ha spiegato Zhao Lijian. “Prima di chiedere a tutti i paesi di smettere di usare il carbone, si dovrebbe considerare la carenza di energia in questi paesi”. L’energy crunch, i blackout, e gli stop a singhiozzo della produzione industriale che la Cina ha visto negli ultimi 2 mesi sono in cima alle preoccupazioni di Pechino, comprensibilmente. Il paese di mezzo ha portato ai massimi la produzione di carbone per mettere una toppa e non si vuole privare di questa opzione.

“Ridurre la proporzione del consumo di carbone è un processo incrementale”, ha ribadito il portavoce del ministero degli Esteri cinese. Un punto che non viene certo messo in discussione dal phase out, cioè dall’abbandono graduale del carbone proposto nella versione originaria del patto di Glasgow. La gradualità resta, quello che cambia è che si mette anche una data definitiva di scadenza.

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Ma la posizione di India e Cina non riguarda solo le date dell’addio al carbone. Riguarda anche una ripartizione degli oneri ben precisa. Il portavoce, infatti, ha ribadito che la riduzione del carbone richiederà ai paesi più sviluppati sia di terminare l’uso del combustibile prima delle nazioni in via di sviluppo, sia di offrire a quei paesi i finanziamenti e la tecnologia per la transizione. È questo, pare di capire, il senso di un’altra modifica all’articolo sul phase out del carbone, comparsa solo nell’ultima bozza: il passaggio finale parla di transizione giusta, quindi di supporto ai paesi più svantaggiati.

La Cina interpreta questo principio – che in sé è sacrosanto – come un impegno dei paesi sviluppati ad aprire il portafoglio come precondizione perché i paesi in via di sviluppo spengano le loro centrali a carbone. In parte è qualcosa di già sperimentato: proprio alla COP26 il Sudafrica ha annunciato che riceverà 8,5 mld di dollari per ridurre la dipendenza dal carbone, fondi elargiti da USA, UE, UK, Francia e Germania. Resta da vedere se il modello è replicabile con un gigante come l’India. E giova ricordare che, nell’ambito dell’Unfccc, anche la Cina è classificata come un paese in via di sviluppo. (lm)