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Carbon tax di frontiera, i ministri delle Finanza approvano il meccanismo

carbon tax di frontiera
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 Meccanismo di Adeguamento del Carbonio alla Frontiera, si entra nel vivo

(Rinnovabili.it) – Primo sì dal Consiglio dell’Unione europea alla carbon tax di frontiera. Ieri i ministri europei di Finanza ed Economia hanno adottato la propria posizione sul regolamento del Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), letteralmente Meccanismo di Adeguamento del Carbonio alla Frontiera. Di cosa si tratta? Di una misura fiscale progettata per pareggiare, in alcuni settori chiave dell’economia UE, il prezzo del carbonio tra i prodotti europei e le importazioni. Un dazio in grado di tutelare, in teoria, le aziende del Blocco dalle concorrenti in paesi esteri in cui le norme ambientali sono meno rigide (e, quindi, i costi di produzione più bassi), evitando il rischio di rilocalizzazione delle attività.

Introdotta dalla Commissione europea a luglio 2021 nel suo pacchetto Fit for 55, la carbon tax di frontiera ha già ottenuto il primo feedback dal Comitato economico e sociale europeo (CESE). E oggi si attendono le posizioni definitive dei legislatori UE.

Per Bruno Le Maire, ministro francese dell’Economia, l’accordo raggiunto dall’Ecofin rappresenta “una vittoria per la politica climatica europea”. Il Meccanismo di Adeguamento del Carbonio alla Frontiera, spiega Le Maire, “fornirà uno strumento per accelerare la decarbonizzazione della nostra industria; proteggendola al contempo dalle aziende di paesi con obiettivi climatici meno ambiziosi. Incoraggerà anche altri paesi a diventare più sostenibili ed emettere meno […] accelerando l’indipendenza energetica dell’Europa”.

 Come funzionerà la carbon tax di frontiera?

La proposta della Commissione UE prevede che gli importatori europei acquistino certificati di carbonio corrispondenti al prezzo della CO2 pagato se la produzione fosse avvenuta nell’Unione. Se il produttore non-UE ha già pagato un prezzo per le sue emissioni, chi importa può detrarre integralmente il costo corrispondente.

L’idea è di introdurre il CBAM gradualmente applicandolo in una fase iniziale solo a un numero selezionato di beni ad alto rischio di rilocalizzazione delle emissioni: ferro e acciaio, cemento, fertilizzanti, alluminio e produzione di elettricità. Nel periodo 2023-2025 entrerebbe in vigore un sistema semplificato, che comporterebbe obblighi di rendicontazione sulle emissioni incorporate nelle importazioni rilevanti. Per entrare a tutti gli effetti in funzione dal 2026. L’obiettivo è quello di attivare il meccanismo di adeguamento in parallelo con il sistema di scambio di quote di emissione (EU ETS); sostituendo gradualmente l’assegnazione di quote gratuite all’industria comunitaria.

La posizione del Consiglio sul CBAM

Rispetto alla proposta iniziale dell’Esecutivo europeo, i ministri hanno optato per una maggiore centralizzazione della governance CBAM, lì dove possibile. Ad esempio, realizzando un registro degli importatori a livello comunitario.

Il Consiglio chiede inoltre una soglia minima che esenti dagli obblighi della carbon tax di frontiera le spedizioni di valore inferiore a 150 euro. “Questa misura – si legge in una nota stampa – ridurrebbe la complessità amministrativa, poiché circa un terzo delle spedizioni nell’Unione rientrerebbe in tale categoria e il loro valore e quantità aggregati rappresentano una parte trascurabile delle emissioni di gas a effetto serra delle importazioni totali di tali prodotti nell’Unione”.

Il lavoro non è ovviamente finito. I Ventisette devono anche compiere progressi sufficienti su una serie di questioni indirettamente legate al CBAM. A parte dall’eliminazione graduale delle quote gratuite assegnate ai settori industriali coperti dalla futura carbon tax di frontiera. Una volta raggiunto un punto fermo in sede di Consiglio, inizieranno i negoziati con il Parlamento europeo.

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