Il rapporto di valutazione quadriennale dell’Onu sullo stato del buco dell’ozono
(Rinnovabili.it) – Il 5 ottobre dell’anno scorso il buco dell’ozono sopra l’Antartide ha raggiunto il picco stagionale di grandezza a 26,4 mln di km2. Per il terzo anno di fila lo squarcio nel sottile strato di O3 che circonda la Terra ha superato la soglia di 25 mln di km2. Un’anomalia rispetto ai valori degli anni precedenti, che danno il buco in lenta ma costante chiusura. Anomalia di fronte alla quale la comunità scientifica si è iniziata a domandare se non fosse in corso un’inversione di tendenza. La risposta è no: dipendeva soltanto da particolari condizioni meteorologiche nella parte superiore della stratosfera.
Lo afferma il rapporto di valutazione quadriennale dello stato di salute dell’ozono appena pubblicato da Organizzazione meteorologica mondiale (Omm), Agenzia Onu per la protezione ambientale (Unep), Nasa e Noaa statunitensi. Un documento dove le buone notizie abbondano. Il protocollo di Montréal con cui dal 1987 sono state messe al bando una serie di sostanze dannose per l’ozono funziona e ne ha cancellate ormai il 99%. La loro presenza residua in atmosfera continua a diminuire costantemente.
Quando si chiuderà il buco dell’ozono?
Una tendenza che migliora le stime sulla data di chiusura del buco dell’ozono. Sopra l’Antartide, lo strato di O3 tornerà ai valori del 1980, cioè prima della comparsa del buco, al più tardi nel 2066. Sopra l’Artico accadrà prima, nel 2045. E nel resto del Pianeta il mantello di ozono si ricostituirà completamente già entro 17 anni, nel 2040.
“L’azione per l’ozono costituisce un precedente per l’azione per il clima. Il nostro successo nell’eliminazione delle sostanze chimiche che danneggiano l’ozono ci mostra cosa si può e si deve fare con urgenza per abbandonare i combustibili fossili, ridurre i gas serra e limitare così l’aumento della temperatura”, ha dichiarato il segretario generale dell’Omm, Petteri Taalas. Le stime del rapporto parlano di 0,5-1°C di riscaldamento globale evitato al 2050 grazie al phase out delle sostanze regolate dal protocollo di Montréal e di 0,3-0,5°C evitati al 2100 grazie alle sostanze incluse nell’Emendamento di Kigali del 2016.
Restano però delle zone d’ombra nella dinamica che regola il buco dell’ozono. Allo stato attuale, si è chiarito da dove proviene una parte delle emissioni inaspettate di CFC-11 e CFC-12 registrate negli ultimi anni, e si è provveduto a ridurle. Mentre non è ancora chiaro a cosa siano dovute altre emissioni dannose per l’ozono, in particolare per CFC-13, 112a, 113a, 114a, 115, CCI4 e HCF-23. Si sospetta che almeno una parte di queste provenga da leak di materie prime o di sottoprodotti finora non regolati.