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I big data ci dicono che stiamo finendo il tempo per salvare l’ecosistema globale

Secondo una nuova ricerca lo stato del Pianeta è peggiore di quanto si pensasse in passato. Watson "Più mappiamo e analizziamo, più scopriamo che le condizioni sono terribili".

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By NASA Goddard/Bill Hrybyk – https://www.flickr.com/photos/gsfc/22183953822/in/album-72157659863041612/, Public Domain, Link

Una nuova ricerca basata sull’analisi di big data ambientali rivela come il tempo per salvare l’ecosistema Terra stia scadendo 

(Rinnovabili.it) – L’analisi dei big data ci permette di scoprire i legami tra fenomeni diversi e prevedere gli effetti di tali fenomeni nel futuro. Ora l’Università di Melbourne li ha utilizzati per tracciare il degrado ambientale a cui stiamo assistendo e per individuarne le possibili soluzioni. Infatti questo approccio applicato alle scienze biogeofisiche ha permesso agli scienziati di analizzare e comprendere i cambiamenti ambientali su scala sia globale che locale, e, al contempo, di scoprire se queste alterazioni fossero legate alle attività umane. Tale analisi dei big data ambientali, secondo lo studio, conferma il declino negli ecosistemi globali e, “nella maggior parte dei casi, rivela che questo declino è peggiore di quanto precedentemente indicato”.

Nell’articolo pubblicato su Nature Communications, James Watson, coautore dello studio e docente all’Università del Queensland, sottolinea checiò che la rivoluzione dei big data ci ha aiutato a capire è che l’ecosistema sta molto peggio di quello che pensavamo. Più mappiamo e analizziamo, più scopriamo che le condizioni attuali del pianeta, dalle calotte glaciali, alle zone umide, passando per le foreste, sono terribili. I big data ci dicono che stiamo esaurendo il nostro tempo”.

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Secondo l’analisi, ad esempio, tra il 2000 e il 2012 sono andati persi 2,3 milioni di km2 di foreste e lo stesso declino ha colpito gli ecosistemi marini e costieri. Ma l’autore principale, Rebecca Runting della School of Geography dell’Università di Melbourne, avverte: le crescenti capacità di generare, archiviare, accedere e analizzare i dati sugli ecosistemi non ci aiuteranno se non condurranno all’azione. “L’analisi dei big data deve essere strettamente legata alla politica e alla gestione ambientale. […] Molte grandi aziende possiedono già la capacità metodologica e tecnica di sviluppare soluzioni, quindi è fondamentale condividere tempestivamente nuovi sviluppi e risorse con i governi”. 

Se non lo faremo sarà troppo tardi. Come sottolinea Runting la pandemia da COVID-19 potrebbe essere un’opportunità in questo senso, infatti attualmente stiamo vedendo i governi prendere decisioni sanitarie rapide basate su analisi dei dati abbastanza sofisticate. Se imparassimo ad agire anche nel settore ambientale come stiamo agendo con il nuovo coronavirus potremmo “ottenere velocemente un collegamento analogo tra analisi e processo decisionale”. 

In effetti, ha spiegato Watson, grazie ai big data “siamo stati in grado di identificare i rischi per la salute a livello globale”. E questo strumento si è rivelato fondamentale anche in passato nella qualificazione e quantificazione dei problemi ambientali che sta affrontando il pianeta. Ad esempio un sistema automatizzato di localizzazione e monitoraggio delle navi viene usato per prevedere l’attività di pesca illegale in tempo reale. In tal modo i governi hanno potuto “indagare rapidamente su determinate navi che potrebbero svolgere attività di pesca illegale all’interno della propria giurisdizione”. In maniera analoga il monitoraggio globale delle foreste è cambiato dall’introduzione dell’analisi dei big data, infatti ad oggi lo “stato delle foreste nel mondo può essere analizzato quasi in tempo reale”. 

L’analisi dei big data può quindi fornire “prove dettagliate dei rapidi cambiamenti ambientali” e di chi può agire per fermarli. Fondamentale risulta essere “lo stretto rapporto tra analisi dei big data e agenda della sostenibilità” così da garantirci tempo e spazio per salvare noi stessi e l’intero ecosistema

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