(Rinnovabili.it) – Architettura, biologia e le loro ibridazioni. È una panoramica vorticosa quella offerta dal padiglione di Israele alla Biennale di Venezia. Dalla scala microscopica degli organismi unicellulari alla resilienza di quello spicchio di Medio Oriente provato da conflitti e cambiamenti climatici di portata epocale, toccando le prospettive della biomimesi in architettura.
Le intenzioni del padiglione sono di configurarsi come una piattaforma di ricerca, uno stadio in divenire a tutti gli effetti, variamente connesso al tema centrale: “LifeObject: Merging Architecture and Biology”. Il panel di curatori per il padiglione israeliano dell’edizione 2016 comprende gli architetti Bnaya Bauer, Arielle Blonder, Noy Lazarovich e lo scienziato Ido Bachelet, coordinati da Yael Eylat Van-Essen.
Da loro è partita l’idea di invitare un gruppo di 7 tra architetti e scienziati, tra i quali figura il prof. Dan Shechtman, premio Nobel per la chimica nel 2011 grazie agli importanti studi sui cristalli quasiperiodici.
A loro si devono le installazioni e tutto l’ampio ventaglio di materiale dell’esibizione, da progetti e idee che possono verosimilmente venire implementate fin da subito, fino a quelle che vengono definite “nuove visioni per il futuro”. Più nel dettaglio, si spazia dall’impiego di nanomateriali per il controllo naturale della trasparenza negli edifici situati nell’ambiente desertico all’uso – vagamente spaesante – di tecniche di trattamento del cancro per affrontare l’aumento della densità urbana.
Al centro del padiglione domina la scena il LifeObject che riassume ed esemplifica il resto dell’esibizione e mette fin da subito la biomimesi in primo piano: una struttura autoportante ispirata alla scansione 3D di un nido d’uccello. Questa struttura combina materiali di differenti origini – composti e leghe, ma anche materiale biologico – e funzioni (ad esempio dispositivi intelligenti integrati).
Altra sezione di estremo interesse è il “cabinet de curiosités”. Il nome di gusto barocco anticipa una Wunderkammer di oggetti, ipotesi di lavoro ma anche idee non prive di ambiguità. Un esempio su tutti, la possibilità di trasformare in sensori ambientali dei batteri geneticamente modificati. L’esempio presente al padiglione unisce un “elemento senziente” – una molecola che si attiva in presenza di composti tossici – e un “elemento rispondente”, qui un gene derivato da una specie di medusa che viene attivato dalla molecola e stimola l’organismo a sintetizzare una proteina verde fluorescente.
La bioluminescenza ottenuta, spiegano gli organizzatori del padiglione israeliano della Biennale, potrebbe essere impiegata per creare delle “sentinelle in tempo reale” per il monitoraggio della qualità di acqua, aria, terreno o cibo. Più o meno su questa lunghezza d’onda prosegue il “cabinet”. Dei minuscoli invertebrati acquatici, appartenenti al phylum dei Briozoi, capaci di architettare colonie fatte di strutture estremamente complesse, per creare facciate viventi e nuovi materiali da costruzione. O ancora si ipotizza di migliorare la sostenibilità complessiva di un edificio sfruttando i funghi responsabili della carie del legno, grazie alla loro azione scolorante che deriva dalla capacità di “digerire” la lignina e altre molecole con strutture simili.