Ieri la visita di Kerry a Bruxelles per rilanciare la cooperazione sull’azione climatica con l’Europa
(Rinnovabili.it) – “Gli scienziati ci dicono che questo decennio, tra il 2020 e il 2030, deve essere il decennio dell’azione” e quindi la COP26 di Glasgow è “l’ultima migliore opportunità che abbiamo” per rispettare gli impegni presi con l’accordo di Parigi sul clima. John Kerry ripete anche a Frans Timmermans quello che è diventato il suo mantra da due mesi a questa parte, quando Biden l’ha nominato inviato per il clima. Una visita, quella a Bruxelles, con cui gli Stati Uniti provano a rilanciare in grande stile la cooperazione sull’azione climatica con l’Unione Europea.
Non a caso è con questo aspetto che si apre il comunicato finale congiunto: “vogliamo rinnovare la nostra forte alleanza” nel gestire la crisi climatica. Trump ha lasciato un segno così profondo, evidentemente, che bisogna cancellarne le tracce ad ogni incontro ufficiale.
Perché USA e UE puntano sull’azione climatica congiunta
L’asse tra Washington e Bruxelles ha due scopi, evitare che nascano tensioni tra i due blocchi (ad esempio per l’introduzione della carbon border tax europea) e far fronte comune per spronare le altre grandi economie a impegnarsi sul clima.
Sul primo punto, la sponda americana farebbe comodo per convincere il Wto che la tassa doganale UE sul carbonio non distorce la competizione sui mercati e quindi può ricevere il via libera. Senza contare che il coordinamento tra le due sponde dell’Atlantico aiuta a ridurre i rischi che l’azione climatica diventi un elemento di contesa, magari proprio in ambito di politica commerciale.
Ma l’obiettivo dichiarato della visita era anche un altro: preparare al meglio l’appuntamento del 22 aprile, quando si terrà il summit sul clima voluto da Biden per tirare la volata alla COP26. Gli Stati Uniti stanno provando a mettere pressione su paesi come la Cina, ma anche altri grandi inquinatori come l’India, la Russia, il Giappone e il Brasile. L’UE li affianca.
Il messaggio di Kerry e Timmermans è chiaro: “Esortiamo tutti i paesi a prendere le misure necessarie per mantenere la temperatura entro i 1,5°C, anche attraverso impegni per zero emissioni nette entro il 2050, strategie specifiche net zero e ambiziosi contributi determinati a livello nazionale”. Tradotto: bisogna giocare a carte scoperte e scrivere, nero su bianco, gli obiettivi per cui ci si impegna e come li si vuole raggiungere.
Per il momento né UE né USA stanno battendo troppo questo tasto, tanto che durante la conferenza stampa nessuno ha parlato di Cina. Anche se solo la settimana scorsa Pechino ha reso pubblico il nuovo piano quinquennale, giudicato da tutti gli osservatori molto deludente dal punto di vista dell’azione climatica. Nei prossimi mesi questo atteggiamento morbido cambierà.
Va però ricordato che, per il momento, anche gli USA non hanno ancora fatto i compiti a casa. Questo l’altro argomento di cui si è parlato a porte chiuse con la diplomazia europea. Washington ha ribadito di impegnarsi per la neutralità climatica entro il 2050, pareggiando l’obiettivo dell’UE, ma non ha ancora formalizzato questo punto. Così come mancano ancora gli obiettivi nazionali aggiornati di riduzione delle emissioni entro il 2030. Kerry si è impegnato a presentarli entro, e forse prima, dell’appuntamento del 22 aprile. Ma non ha dato dettagli. Dettagli che invece vengono fatti filtrare da anonime fonti diplomatiche dell’Unione Europea all’agenzia Reuters: Bruxelles vuole che il taglio sia almeno del 50%, “se non inizia con 5 per noi non è abbastanza”.