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La scia di sangue degli attivisti ambientali: 1 morto ogni 2 giorni, da 10 anni

Attivisti ambientali: in 10 anni, 1 omicidio ogni 2 giorni
crediti: Fotomovimiento via Flickr | CC BY-NC-ND 2.0

Almeno 1733 gli attivisti ambientali uccisi dal 2012

(Rinnovabili.it) – Un omicidio ogni due giorni. Per dieci anni. In tutto, 1733 morti. Una scia di sangue che tocca ogni continente ma soprattutto l’America Latina e Centrale. È qui, tra Colombia, Brasile e Messico che vengono ammazzati più attivisti ambientali che in qualsiasi altra parte del mondo. In Sudamerica si sono verificati ¾ degli attacchi totali del 2021.

Una strage lunga 10 anni

Da quando ha iniziato a pubblicare il suo rapporto annuale nel 2012, l’ong Global Witness ha visto alcune tendenze ben precise. La prima: il controllo e l’uso della terra e del territorio è una questione centrale nei Paesi in cui gi attivisti sono minacciati. “Gran parte dell’aumento delle uccisioni, della violenza e della repressione è legato ai conflitti territoriali e al perseguimento di una crescita economica basata sull’estrazione di risorse naturali dalla terra”, si legge nel rapporto.  

I dati sugli omicidi raccontano solo una parte della questione. “In alcuni paesi, la situazione dei difensori è difficile da valutare: le restrizioni alla libertà di stampa e la mancanza di un monitoraggio indipendente in molti paesi portano spesso a una sottovalutazione delle notizie”, nota Global Witness.

I responsabili finiscono raramente alla sbarra e ancor meno in carcere. Questo dipende dai frequenti legami d’interesse tra istituzioni e aziende coinvolte nello sfruttamento delle risorse ambientali. Infine, a morire di più, in proporzione, sono i popoli indigeni. Ben il 40% degli attivisti ambientali uccisi sono nativi, benché rappresentino appena il 5% della popolazione mondiale.

I dati 2021

L’anno scorso sono stati uccisi 200 attivisti, poco meno del picco di 227 registrato nel 2020 nonostante la pandemia. Il maggior numero di omicidi è avvenuto in Messico (54), Colombia (33), Brasile (26), Filippine (19), Nicaragua (15) e India (14). Per 143 di essi il movente preciso non può essere confermato. Quando ci sono indicazioni chiare, sono soprattutto le attività minerarie e l’installazione di idroelettrico i driver principali.

Mentre il Brasile e l’India hanno registrato un aumento degli attacchi letali, rispettivamente da 20 a 26 e da 4 a 14, sia la Colombia che le Filippine hanno registrato un calo delle uccisioni, passando da 65 a 33 nel 2021 e da 19 a 30 nel 2021. Tuttavia, nel complesso, rimangono due dei Paesi con il più alto numero di uccisioni al mondo dal 2012.

L’Amazzonia resta un hotspot di omicidi ai danni degli attivisti. “Oltre tre quarti degli attacchi registrati sono avvenuti in America Latina. In Brasile, Perù e Venezuela, il 78% degli attacchi è avvenuto in Amazzonia”, si legge nel rapporto.

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