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L’architettura di fronte alle città del futuro

La realtà incombente dei cambiamenti climatici e l’imperativo della resilienza: la città del futuro incorporerà delle caratteristiche che possiamo rintracciare nei progetti più innovativi di oggi

L’architettura di fronte alle città del futuro
New York come smart city di Terreform ONE

 

(Rinnovabili.it) – Nella “Repubblica”, la società ideale di Platone è un rigido sistema di caste. L’isola immaginata da Tommaso Moro ha un impianto urbanistico degno di un regime totalitario. I falansteri di Fourier e le comunità proto-socialiste di Owen sono stati schiacciati dalla storia. Da millenni ciò che chiamiamo utopia porta con sé anche segni del suo opposto. Giudicare a posteriori è semplice. Più complesso, invece, è comprendere già oggi come saranno le città del futuro – possibilmente senza farsi abbagliare dal cieco scintillio del progresso.

 

Oggi la realtà aumentata crea città ritagliate a misura d’individuo per ogni abitante, e le innovazioni nell’architettura modulare e nelle nanotecnologie prospettano uno spazio che muta forma e funzione a comando. Tutto ciò è in qualche modo già realtà, e la tentazione di concludere che in futuro si tratterà soltanto di applicarlo su altre scale è forte (e utopico in senso proprio).

Ma se c’è una lezione che si apprende dalle utopie del passato, è che il problema si cela nel dettaglio che non siamo stati capaci di prevedere. Per chiarezza: la smart city “compiuta” sarà anche la città della sorveglianza e del controllo.

Un punto però è certo: la città del futuro incorporerà delle caratteristiche che possiamo rintracciare nei progetti più “futuristici” di oggi. E partire dai dati bruti – cambiamenti climatici, innalzamento del livello delle acque e relative strategie di mitigazione – è un buon approccio per scovarle.

 

Governors Hook di Terreform ONE
Governors Hook di Terreform ONE

 

Ogni settimana 1,4 milioni di persone lascia le campagne per andare a vivere in città, spesso costiere. E tra subsidenza e innalzamento del livello dei mari, molti studi che nei prossimi decenni ci saranno più di 1 miliardo di persone a rischio. Come adatteremo le nostre città? Dagli anni ’60 si immaginano e progettano ipotetiche città flottanti, l’esempio più recente è Next Tokyo.

Ma le soluzioni resilienti che prenderanno davvero piede potrebbero essere altre. Secondo Seth McDowell dello studio Mcdowellespinosa architects, “le città saranno progettate o riconfigurate per accettare un livello del mare in aumento, all’insegna di una coesistenza tra acqua e attività urbane”. L’architetto fa riferimento, ad esempio, al Water Square Benthemplein di Rotterdam, “in cui una piazza pubblica diventa all’occorrenza un bacino di stoccaggio dell’acqua”.

Seguendo lo stesso concetto, che può sembrare controintuitivo, Terreform One ha progettato il suo Governors Hook. “Invece di tenere l’acqua fuori – spiegano gli architetti – il design permette all’acqua di entrare”. Il suggerimento è di esplorare nuove relazioni tra città e ambiente naturale in divenire, per evitare la percezione di essere sotto assedio permanente.

 

L’architettura di fronte alle città del futuro
Rapid Re(f)use di Terreform ONE

 

In modo analogo Mcdowellespinosa propone di considerare i rifiuti come materia grezza. Il loro progetto City of Blubber immagina di convertire i rifiuti organici di Hong Kong in bioplastica. Sul tema Terreform ha lavorato seguendo approcci piuttosto radicali. Rapid Re(f)use è una città che non distingue tra rifiuto e risorsa.

Il fondatore dello studio spiega così il concetto di fondo: “Non siamo nell’Antropocene ma nel Capitalocene, l’era del capitale dove l’imperativo è la crescita all’infinito: ma è impossibile”. Da ciò consegue, nella sua visione, che non bisogna guardare alla città del futuro dal punto di vista architettonico in senso proprio, quanto piuttosto considerarla come un insieme di sistemi metabolici interconnessi, in modo da ottenere un ciclo chiuso.

 

L’architettura di fronte alle città del futuro
Aqualta di Clouds Architecture Office

 

L’alternativa, nel caso in cui non fossimo in grado di agire in tempo e con efficacia, potrebbe essere uno scenario alla New Orleans post uragano Kathrina: interi quartieri abbandonati e altre zone dove prospera la “shock economy” denunciata da Naomi Klein. In modo simile, anche lo studio Clouds Architecture Office muove la sua denuncia: nel progetto Aqualta immagina una metropoli semi-sommersa, dove nondimeno la vita continua. Ma al costo di subire una transizione repentina, che implica enormi rinunce.