Alcune questioni per far chiarezza sulla portata reale della nuova formulazione della Costituzione
di Vittorio Cogliati Dezza
(Rinnovabili.it) – Giustamente qualcuno (non molti a dire il vero) ha festeggiato la conclusione del lungo iter parlamentare che ha portato alla modifica degli articoli 9 e 41 della Costituzione con il riferimento all’ambiente.
A fronte di una quasi unanimità della Camera (un contrario e sei astenuti), non sono mancate divergenze di valutazione tra esperti, costituzionalisti o ambientalisti. Alcuni hanno gridato alla scomparsa del paesaggio, vero baluardo anti-speculazione, o quanto meno al suo annacquamento in un “elenco di termini indefiniti”: ambiente, biodiversità, ecosistemi, nonché “interesse delle future generazioni”. Sarebbero questi i termini indefiniti!
Vorrei qui porre tre questioni, che forse ci aiutano a far chiarezza sulla portata reale della nuova formulazione della Costituzione.
La prima è molto semplice. Il territorio del nostro Paese è vincolato per il 49% della sua superficie e questo non ha impedito abusi illegalità ecomostri grandi opere inutili. La domanda sorge spontanea: “è sufficiente il regime vincolistico a tutelare il Paese e a garantirne uno sviluppo ecologicamente sano?”. Mi sembra una tipica domanda retorica la cui risposta negativa è scontata.
La seconda questione entra nel merito della critica alla nuova formulazione: può la nozione di paesaggio e la sua conservazione, per altro assolutamente necessaria, garantire da quei mille altri fenomeni e processi ecologicamente pericolosi che attraversano la nostra epoca nella produzione come nei consumi, nella mobilità come nell’abitare, nell’organizzazione urbana come nella qualità dei servizi ecosistemici o nella gestione della salute, che come ci hanno insegnato questi anni pandemici è strettamente collegata alla crisi ecologica? O, per dirla in una parola, nell’affrontare la più grave emergenza dei nostri tempi: la crisi climatica?
Ma queste questioni, che pure in sé sono di grande consistenza, rinviano ad un altro nodo, che a me sembra assai più rilevante: quale sarà la coerenza tra la riforma costituzionale e le politiche che d’ora in avanti verranno implementate nel Paese?
È qui che nascono legittimi dubbi e preoccupazioni.
In questa prospettiva quello che appare più rilevante non è tanto la modifica dell’articolo 9, che realizza soprattutto un aggiornamento e migliore esplicitazione dei valori fondanti della comunità nazionale, quanto l’articolo 41, che, come afferma il costituzionalista Gaetano Azzariti, riconosce che il bene ambientale è un bene in sé, da sottrarre al mercato.
Il ministro Cingolani si è sbilanciato e ha dichiarato: “Questo voto del Parlamento segna una giornata epocale: testimonio qui la presenza del governo che crede in questo cambiamento, grazie al quale la nostra Repubblica introduce nei suoi principi fondanti la tutela dell’ambiente”. Il ministro sbaglia, e forse non a caso, perché la modifica non riguarda solo i principi fondanti, ma fa un passo in più e delinea le coordinate entro cui l’iniziativa economica è obbligata a muoversi, e, conseguentemente, anche l’azione del Governo. Ed anche qui la domanda sorger spontanea: quante sono le iniziative economiche che l’8 febbraio 2022 sono diventate ipso facto anticostituzionali, e quanti sono i provvedimenti del Governo che hanno subito la stessa sorte?
Aggiungerei anche che aver inserito “salute e ambiente” crea le premesse per obbligare d’ora in poi tutto il Paese a considerare la concatenazione tra i due processi come vincolo ineludibile, ed inoltre addirittura con un ulteriore vincolo: “nell’interesse delle future generazioni”.
Si ha anche l’impressione che il ministro sia in ottima compagnia con uno stuolo di parlamentari che hanno votato a favore della riforma costituzionale e che negli ultimi mesi hanno approvato misure “oggi anticostituzionali”. L’impressione, insomma, è che ci sia una diffusa inconsapevolezza tra gli attori di questa “giornata epocale”.
Se il vincolo dell’interesse delle future generazioni è valido, allora vuol dire che il contrasto alla crisi climatica deve essere OGGI una scelta inequivocabile. Vale per il blocco sostanziale delle rinnovabili degli ultimi otto anni, mentre si è continuato a sviluppare l’uso del gas, che è cresciuto del 20%. Vale per il recupero di risorse contro il caro bollette attraverso il blocco degli extraprofitti da impianti che producono energia rinnovabile, ma non per chi produce con combustibili fossili. Vale per il nuovo PITISAI (Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee), che prova a rimettere in gioco le trivellazioni nazionali. Vale per i Sussidi ambientalmente dannosi. Vale per quell’apertura all’uso delle caldaie a gas nel suberbonus, garantendo il mercato del gas per almeno due decenni, quando già nel suo Rapporto di pochi mesi fasi anche la IEA consigliava di interrompere la vendita di caldaie a gas entro il 2025. Vale per gli incentivi alle automobili con motore endotermico. Vale per i finanziamenti previsti dal PNRR per l’acquisto di bus a metano.
Intanto la biodiversità, mentre fa la sua trionfale comparsa in Costituzione, è sostanzialmente assente nel PNRR, nonostante le indicazioni e le sollecitazioni della Commissione Europea. O su un altro fronte, per gli investimenti in asilo nido e nella rigenerazione urbana, circa 10 miliardi in totale, non c’è alcuna indicazione di standard energetici obbligatori.
E, guardando alla storia dell’inquinamento di questo Paese, altre questioni entrano in rotta di collisione con il nuovo dettato della Costituzione: i tassi di inquinamento dell’aria in Pianura Padana e nelle grandi città, le mancate bonifiche delle aree industriali dismesse, l’inquinamento chimico in agricoltura, e, non per ultimo, l’eterna irrisolta questione dell’Ilva di Taranto. Solo per elencare le prime che vengono in mente.
Certamente la riforma costituzionale non può cambiare, di per sé e dalla mattina alla sera, la realtà del Paese. Ma quello che oggi ci appare in evidenza è che sul tavolo della politica, che dovrà disegnare il progetto di Paese che ci attende, è stata calata una carta ineludibile, e toccherà a cittadini ed imprese tenere sotto osservazione nei prossimi anni se essa sarà almeno l’occasione per avviare processi di cambiamento nel solco della Transizione Ecologica. Nella consapevolezza che, sul piano costituzionale e con risvolti politici importanti, si complica il problema del bilanciamento tra i principi costituzionali, là dove si determinano scale di priorità con ricadute diverse e conflittuali.