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Adattamento alla crisi climatica: la COP28 ha scontentato il Sud globale

Adattamento alla crisi climatica: cosa ha deciso la COP28?
Foto di William Bossen su Unsplash

Approvato l’accordo quadro sul Global Goal on Adaptation

(Rinnovabili.it) – La lotta al climate change dovrebbe basarsi su due pilastri: mitigazione e adattamento. Ma la prima ha sempre ricevuto più attenzioni e fondi del secondo. Ridurre le emissioni e impostare l’uscita dalle fossili sono solo metà dell’azione necessaria per il clima. Senza adattamento, le nostre società saranno impreparate ad affrontare l’impatto di un mondo sempre più caldo nei prossimi decenni. Anche se non sforiamo 1,5°C. E i paesi più vulnerabili e con economie più deboli pagheranno un prezzo sproporzionato. Per questo l’adattamento alla crisi climatica è un dossier che è tornato prepotentemente al centro del processo delle COP fin dal 2021 a Glasgow.

La COP28 di Dubai ha affrontato questo tema lavorando sul Global Goal on Adaptation (GGA), previsto dall’articolo 7 dell’Accordo di Parigi ma rivitalizzato solo durante la COP26 di due anni fa. Il GGA dovrebbe fornire le linee guida e gli obiettivi per le politiche di adattamento globali, e quindi anche indirizzare la parte di finanza climatica legata all’adattamento. A Glasgow si decise di accelerare preparando un quadro di regole per guidare le politiche di adattamento entro due anni. La conferenza di Dubai ha raggiunto un accordo, ma con obiettivi definiti in modo vago e un linguaggio estremamente diluito.

CBDR-RC e finanza al centro dei negoziati alla COP28 di Dubai

Le due settimane di negoziati sul GGA sono scivolate via in discussioni su due punti. Primo: se inserire, e come, riferimenti al principio delle responsabilità comuni ma differenziate e delle rispettive capacità (Common But Differentiated Responsibilities – Respective Capabilites, CBDR-RC) che innerva il Paris Agreement e i negoziati multilaterali sul clima fin dagli anni ’90. Secondo, se e in che termini fare cenno alla finanza per l’adattamento.

Ancora una volta, la spaccatura nei negoziati divide Nord e Sud globali. I paesi ricchi si oppongono a mettere riferimenti espliciti al CBDR-RC nel testo sul Global Goal on Adaptation per paura di legarsi le mani e trovarsi costretti a doversi impegnare ben più di quanto vorrebbero in questo ambito. Sono infatti i paesi che hanno più responsabilità storiche nell’innesco della crisi climatica e tutt’ora tra i maggiori inquinatori mondiali. Di conseguenza si oppongono anche a stabilire degli obiettivi precisi sulla finanza per l’adattamento al di là di quelli già decisi: alla COP26 promisero di raddoppiare queste risorse rispetto ai livelli del 2019 entro il 2025, ovvero di passare da 40 a 80 miliardi di dollari.

I paesi in via di sviluppo vogliono l’esatto contrario su entrambi i punti. Il riferimento al CBDR-RC è visto da loro come una garanzia ulteriore per una transizione giusta, perfettamente in linea con tutta l’impostazione della diplomazia climatica degli ultimi 3 decenni. E ritengono che tracciare una rotta per l’adattamento alla crisi climatica senza però rendere disponibili le risorse necessarie metta a rischio il raggiungimento degli obiettivi.

Nessuna cifra sulla finanza per l’adattamento alla crisi climatica

Il testo approvato alla COP28 riflette queste tensioni e le mancate convergenze. Non parla davvero di finanza se non come un “mezzo di implementazione” a fianco di trasferimento di tecnologie e sviluppo di capacità. Anche se l’accordo quadro fa, effettivamente, riferimenti alla finanza per l’adattamento.

Il punto 25 sottolinea che dev’essere tempestiva e prevedibile e che bisogna renderla più facilmente accessibile. Il punto 26 accoglie con favore i progressi nei negoziati sulla finanza climatica (con riferimento all’obiettivo post 2025) e nota che la quota per l’adattamento prevista ad oggi è ancora insufficiente rispetto ai bisogni reali. Il punto 27 rimarca l’importanza di fornire supporto finanziario in forma di risorse a fondo perduto (e non prestiti), mentre il punto 28 riafferma la necessità di bilanciare la finanza per il clima tra mitigazione e adattamento.

Mancano del tutto riferimenti a quante risorse vanno mobilitate. Una delle ultime bozze parlava di un obiettivo di 400 miliardi di dollari l’anno entro il 2030, che è stato prontamente cancellato nell’accordo finale. La stima si basava su quella più alta fornita dall’ultimo rapporto dell’UNEP sul gap di finanza per l’adattamento alla crisi climatica. L’agenzia ONU lo stimava in 215-387 mld $ l’anno entro fine decennio, un volume 10-18 volte superiore a quello mobilitato oggi. Ha però vinto l’opposizione dei paesi ricchi, che ritengono che queste cifre vadano discusse nel quadro della finanza climatica post 2025 e non nel GGA.

Così come ha vinto il Nord globale rispetto al principio CBDR-RC. Il testo dell’accordo quadro sull’adattamento uscito dalla COP28 non lo cita mai e si limita a richiamare, nel preambolo, “le disposizioni e i principi” dell’UNFCCC e dell’Accordo di Parigi. Formulazione vaga che permette ai paesi ricchi di poter non dare per scontato che il principio si applichi appieno alle azioni per l’adattamento.

Come sono saltate le cifre sulla finanza e i riferimenti al CBDR-RC, così sono saltati tutti gli obiettivi quantificabili per i temi-cardine in cui si articolerà il GGA. Le prime versioni parlavano, ad esempio, di proteggere o ripristinare il 30% degli ecosistemi, di garantire una copertura sanitaria universale, di azzerare al 2040 gli impatti del clima su infrastrutture e centri abitati, garantire accesso universale a risorse idriche potabili sicure e convenienti. Niente di tutto ciò è presente nel testo finale approvato a Dubai. I 6 temi individuati – acqua, cibo, salute, ecosistemi, infrastrutture, fine della povertà e patrimonio culturale – presentano obiettivi generici, esclusivamente qualitativi e senza un orizzonte temporale di riferimento.

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