L’analisi di Climate Action Tracker sul gap di emissioni per rispettare l’accordo di Parigi
(Rinnovabili.it) – Nessun paese al mondo è davvero in linea con l’accordo di Parigi. A parte il Gambia, gli altri Stati non hanno una politica climatica compatibile con l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale sotto la soglia di 1,5°C. Una fotografia, quella scattata da Climate Action Tracker (CAT), che tiene conto degli aggiornamenti dei contributi nazionali volontari (NDC) dell’ultimo anno.
Nella classifica di CAT i paesi sviluppati vanno malissimo. Il migliore è la Gran Bretagna, la cui politica sul clima è giudicata “compatibile con l’obiettivo degli 1,5°C”. Londra ha promesso un taglio del 68% delle emissioni a dicembre 2020, poi alzato di 10 punti percentuali fino al 78% questa primavera. Ma gli elogi si fermano alle misure domestiche: se si guarda l’azione climatica di Londra nel suo complesso, il voto scende. Il tallone d’Achille è la finanza climatica, la somma da destinare per la transizione ecologica dei paesi più vulnerabili e meno sviluppati. È lo stesso punto debole che inquina le ambizioni di leader globale sul clima dell’Unione Europea. Bruxelles finisce così nel terzo scalone di paesi, quelli con sforzi giudicati “insufficienti” per rispettare l’accordo di Parigi.
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“La data obiettivo più importante è il 2030, entro il quale le emissioni globali devono essere ridotte del 50%, e i governi non sono neanche lontanamente vicini a questo”, scrivono gli autori del dossier. “Stimiamo che con le azioni attuali le emissioni globali saranno all’incirca al livello odierno nel 2030, emetteremmo il doppio di quanto richiesto per il limite di 1,5°C”.
Ci sono però stati dei miglioramenti, anche se molto insufficienti. Nell’ultimo anno, il gap di emissioni che ci separa dall’essere in linea con l’accordo di Parigi si è assottigliato di circa il 14%. I nuovi impegni climatici presentati di recente da molti paesi, calcola CAT, tolgono circa 4 GtCO2e dal conteggio.
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Ma in molti casi, gli NDC presentati non hanno reso davvero più verdi e incisive le politiche climatiche. Destano “particolare preoccupazione” paesi come Australia, Brasile, Indonesia, Messico, Nuova Zelanda, Russia, Singapore, Svizzera e Vietnam perché “hanno presentato gli stessi obiettivi 2030 o addirittura meno ambiziosi di quelli che avevano proposto nel 2015. Questi paesi devono ripensare alla loro scelta”, sottolinea il rapporto.
Le priorità sono chiare. Chi ha corso di più nell’ultimo anno – Stati Uniti, UE e Germania – è da prendere a modello. “I governi devono trarre vantaggio dal calo delle energie rinnovabili e dei costi di stoccaggio e accelerare la loro installazione. Devono cancellare i loro piani di costruzione di centrali a carbone e abbandonare piani e finanziamenti per gasdotti e nuovi terminal”, propone Climate Action Tracker. E prima di pensare al 2050 servono impegni chiari e realistici con orizzonte 2030.