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In Europa, solo 1 impresa su 5 prende sul serio i piani di transizione ecologica

Anche i settori migliori – acciaio, generazione elettrica e automotive – hanno criticità strutturali che non vengono affrontate adeguatamente. L’Italia fa peggio della media UE: il 60% delle grandi imprese nazionali registra solo progressi “limitati” nel tradurre in azioni concrete i suoi piani per la transizione

Piani transizione ecologica: solo il 20% delle aziende UE fa sul serio
Foto di Dustin Humes su Unsplash

Il rapporto di OliverWyman su dati CDP

(Rinnovabili.it) – Le grandi imprese europee stanno riducendo le emissioni di gas serra, ma solo 1 su 5 sta davvero modificando il suo modello di business. Più di metà ha piani per la transizione ecologica, ma molte di meno stanno agendo concretamente. Lo afferma un rapporto di OliverWyman su dati di Carbon Disclosure Project che analizza 1.600 aziende europee, pari all’89% della capitalizzazione del continente.

“Se da un lato i dati dimostrano i progressi compiuti dalle aziende nella riduzione delle emissioni negli ultimi quattro anni, dall’altro rivelano anche i limiti sostanziali che ancora esistono nell’implementazione degli aspetti chiave dei piani di transizione e nel determinare un cambiamento reale nei modelli di business”, sottolinea il rapporto. Tra i criteri vagliati figurano investimenti di capitale, sviluppo di nuovi prodotti e gestione della catena di fornitura.

Chi prende sul serio i piani di transizione ecologica?

A livello europeo, progressi “sostanziali” si registrano solo nel 21% delle aziende europee, mentre il 27% ha risultati solo “parziali” e più della metà (il 52%) fa ancora peggio, con impegni “limitati” nella realizzazione dei piani di transizione ecologica. L’Italia si attesta leggermente sotto la media UE, con rispettivamente il 20%, il 21% e il 60%.

Tra i settori più restii a trasformare il proprio modello di business figurano quelli del cibo, bevande e tabacco, dei prodotti agricoli e dei metalli, tutti con oltre il 45% di aziende che mostra progressi limitati. I più virtuosi sono quelli della generazione elettrica, dove il 63% delle imprese ha raggiunto risultati sostanziali, e il settore dell’acciaio dove la percentuale arriva al 60%.

Uno sguardo ravvicinato a elettricità, acciaio e auto

Anche per i settori con il punteggio migliore, però, esistono delle criticità. Il rapporto passa al vaglio soprattutto servizi elettrici, acciaio e automotive, tre fra i principali inquinatori europei. “La buona notizia è che stanno già investendo più degli altri nella transizione, con oltre il 50% del CapEx destinato a iniziative ecologiche”. Ma all’orizzonte ci sono degli scogli.

Entro il 2030, le aziende elettriche potrebbero trovarsi un gap di 285 miliardi di euro rispetto agli investimenti in spesa conto capitale richiesti nelle energie rinnovabili e al potenziamento della rete per favorire l’elettrificazione e la decarbonizzazione dei trasporti e dell’industria pesante.

Per l’acciaio, l’87% delle aziende siderurgiche oggi offre alcuni tipi di prodotti a basse emissioni di carbonio, ma i ricavi di questo segmento rappresentano solo il 22% del totale. “Di conseguenza, si prevede che la produzione di acciaio verde diminuirà fino a 18 milioni di tonnellate, ovvero il 31%, al di sotto della domanda entro il 2035”, avverte il rapporto.

Sul versante automotive, più del 90% dell’impronta di carbonio del settore è nell’ambito Scope 3, cioè le emissioni generate dalla catena di fornitura e dall’uso delle auto. Eppure, solo l’11% delle aziende garantisce che almeno ¼ dei propri fornitori soddisfi i requisiti climatici.