I negoziati sull’articolo 6 del Paris Agreement non sono arrivati a un’intesa sulle regole per lo scambio bi- e multilaterale dei crediti di carbonio e sul global carbon market. Dopo i primi passi avanti raggiunti nel 2021 alla COP26, il dossier si rivela uno dei più ostici nell’implementazione dell’Accordo di Parigi
Tutto rinviato alla COP29 di Baku, a fine 2024
(Rinnovabili.it) – Dalla COP28 di Dubai è arrivata l’ennesima fumata nera sul mercato globale del carbonio. Due settimane di negoziati non sono state sufficienti per ridurre la distanza tra Stati Uniti ed Unione Europea. I primi d’accordo con un’impalcatura leggera e meno regole pur di lanciare subito il carbon market previsto dall’articolo 6 del Paris Agreement. La seconda preoccupata che un quadro troppo permissivo possa danneggiare le proprie aziende, soggette al sistema europeo di scambio dei crediti di carbonio che veleggia su quote oltre i 100 euro per tonnellata di CO2.
Perché è importante il mercato globale del carbonio?
Il carbon market globale è la soluzione che il Paris Agreement ha individuato per far arrivare ai paesi meno sviluppati flussi finanziari adeguati ad affrontare la crisi climatica (insieme ad altri meccanismi di climate financing), garantire più flessibilità a tutti gli stati nel raggiungere obiettivi di riduzione delle emissioni, e rafforzare l’inclusione della tutela degli ecosistemi naturali tra gli strumenti necessari per tenere il riscaldamento globale sotto le soglie di 2 e 1,5 gradi.
L’art.6 dell’Accordo di Parigi dà una cornice che permette agli stati di mettere in campo una “cooperazione volontaria” per raggiungere i tagli alle emissioni necessari. Due sono i tipi di mercati del carbonio previsti: quello per gli scambi bilaterali (art.6.2, qui il testo discusso a Dubai) e il mercato globale del carbonio (art.6.4, qui il documento discusso alla COP28).
Per entrambi non esistono ancora regole definitive e tutti i dettagli tecnici necessari, su cui si negozia da 8 anni. Alcuni stati, però, hanno già iniziato a scambiarsi crediti di carbonio che dovrebbero rientrare sotto l’art.6.2: ad esempio la Svizzera, a inizio 2023, ha presentato all’UNFCCC gli accordi in merito stretti con Ghana, Thailandia, Perù e Vanuatu.
I dubbi sui voluntary carbon markets
La difficoltà principale sta nell’integrare i mercati volontari già esistenti – sistemi di scambio di crediti del carbonio tra soggetti privati e tra aziende e soggetti istituzionali – nell’architettura dell’articolo 6. Il che significa decidere quali regole bisogna seguire, come valutare l’efficacia (e quindi l’integrità) dei progetti che garantiscono rimozioni di CO2 o emissioni evitate, e quale grado di trasparenza debba essere assicurata affinché il sistema non si trasformi in un enorme esercizio globale di greenwashing.
Sui mercati volontari esistenti oggi si accumulano sempre più dubbi. Numerosi report e inchieste stanno mettendo in luce un sottobosco, molto nutrito, di progetti che non forniscono nemmeno lontanamente i servizi pubblicizzati. Ad esempio, utilizzando metriche che non permettono di valutare davvero l’impatto sul clima, o spacciando per sostenibili dei crediti di carbonio che sottraggono CO2 dall’atmosfera per pochi anni o decenni.
I nodi discussi alla COP28
Su questo sfondo, la conferenza sul clima di Dubai non ha fatto alcun passo avanti rispetto al 2021. A Glasgow, due anni fa, arrivò un primo accordo provvisorio sull’articolo 6, con più chiarezza sul quadro di riferimento per i carbon market e con molti punti scivolosi. Punti che sono rimasti al centro delle discussioni delle delegazioni nazionali nelle due settimane di COP28, senza che si trovasse un compromesso ritenuto accettabile da tutti.
Un tema su cui UE e USA si sono scontrati fino alla fine è il grado di trasparenza da assicurare al processo che regolerà gli scambi volontari, cioè quelli sotto l’art.6.2. Il testo finale proposto dalla presidenza della COP28 non metteva limiti alla quantità di informazioni che gli stati avrebbero potuto classificare come “confidenziali”, senza quindi essere tenute a rivelarle nel meccanismo di reporting previsto.
“Il quadro minimalista e senza fronzoli sul tavolo avrebbe consentito ai paesi di definire in gran parte le proprie regole di rendicontazione, di scambiare crediti di carbonio contrassegnati come difettosi e di revocare l’autorizzazione per crediti di carbonio precedentemente approvati senza alcun limite, il che avrebbe potuto portato a un doppio conteggio. Il testo proposto ha inoltre sancito e legittimato ulteriormente clausole di segretezza vaghe”, spiega Jonathan Crook di Carbon Market Watch. Su questo punto hanno fatto saltare il banco l’UE, il Messico, alcuni paesi africani e l’alleanza dei paesi latinoamericani.
Nessun accordo neppure su altri dossier cruciali. A partire dalla definizione di quali metodologie usare per vagliare efficacia e impatto dei crediti di carbonio e dalle linee guida su cosa far valere come rimozioni di carbonio (attraverso strumenti naturali e/o tecnologie artificiali), due pilastri del meccanismo che dovrà supervisionare il funzionamento del mercato globale del carbonio sotto l’art.6.4. I dubbi si sono concentrati sulle garanzie di rispetto dell’ambiente e dei diritti umani. Salta anche l’intesa su come integrare i registri dei due tipi di mercati (per evitare doppi conteggi).
Tutto rimandato al prossimo anno, quindi. Da qui alla COP29, che si terrà a Baku, in Azerbaijan, i negoziati preliminari torneranno ad affrontare questi punti. Nel frattempo, i crediti di carbonio già scambiati tra stati – come quelli degli accordi siglati dalla Svizzera – e i mercati volontari restano nel limbo. “Si tratta certamente di una battuta d’arresto per i mercati del carbonio”, dice a Reuters Lina Barrera di Conservation International. “Coloro che sono interessati a partecipare al mercato non sapranno cosa aspettarsi, rallentando l’intero processo di lancio del mercato”.