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I paesi ricchi piantano una bandierina sul Meccanismo Perdite e Danni

COP27 di Sharm: cos’è il nuovo Fondo per perdite e danni e perché è importante
crediti: UNclimatechange via Flickr | CC BY-NC-SA 2.0

Il Fondo per i Loss & Damage dovrebbe diventare operativo alla Cop28 di Dubai

(Rinnovabili.it) – Gli Stati Uniti e i paesi più ricchi si sono assicurati il controllo del fondo per i Loss & Damage che dovrebbe diventare operativo alla Cop28 di Dubai tra meno di un mese. Ad Abu Dhabi, nel fine settimana, il vertice convocato in extremis per trovare un accordo sui punti fondamentali del Meccanismo Perdite e Danni dopo mesi di litigi ha prodotto un’intesa sulla governance del fondo: sarà istituito presso la Banca Mondiale.

Compromesso sul meccanismo Perdite e Danni

Era l’opzione preferita dall’Occidente e dai paesi con economie avanzate. Gli stessi che dovrebbero assicurare la maggior parte delle risorse del Meccanismo Perdite e Danni, veicolandole ai paesi più vulnerabili alla crisi climatica. Dare un ruolo alla World Bank significa che il fondo potrà essere fortemente influenzato proprio da chi, Washington in testa, controlla gli equilibri dell’istituzione di Bretton Woods.

I paesi in via di sviluppo premevano, invece, per istituire il fondo per i Loss & Damage come un’entità autonoma, soggetta ai meccanismi finanziari creati per consenso negli ultimi 30 anni nell’alveo della Convenzione Quadro dell’ONU sul cambiamento climatico (UNFCCC), l’organo che gestisce il processo delle Cop. I delegati presenti ad Abu Dhabi hanno trovato il punto di equilibrio con una formula di compromesso: il Meccanismo Perdite e Danni resterà solo in via provvisoria, per 4 anni, sotto la Banca Mondiale. Nel frattempo si cercherà un assetto definitivo che accontenti tutti.

Nodi ancora da sciogliere

Nessuna intesa, al contrario, sugli altri punti caldi del dossier. Soprattutto su chi deve sborsare e quanto. Il testo uscito da Abu Dhabi non fa altro che ricordare che anche i paesi in via di sviluppo (leggi: soprattutto la Cina, che per l’UNFCCC è ancora classificata così nonostante sia la 2° economia globale; ma anche i maggiori produttori fossili come l’Arabia Saudita) dovrebbero contribuire. Condizionale messo non a caso: l’intesa non dice nulla sulla natura dei finanziamenti, evitando di pronunciarsi per l’opzione di renderli vincolanti (a fronte di quote stabilite paese per paese) o per quella di lasciarli volontari (come vorrebbe Washington).

“È un giorno triste per la giustizia climatica, poiché i paesi ricchi voltano le spalle alle comunità vulnerabili”, commenta Harjeet Singh di Climate Action Network. L’intesa “non riesce a fornire alle comunità vulnerabili un’adeguata garanzia che i loro bisogni finanziari per far fronte agli impatti climatici e ricostruire le loro vite saranno soddisfatti”.

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