Il Dragone, insieme a diversi paesi dell’Asia e dell’America Latina, sta ponendo condizioni severe all’export delle materie prime critiche
L’Occidente è preoccupato di dover pagare cara la transizione energetica per via di dazi e tariffe crescenti sulle materie prime critiche
(Rinnovabili.it) – Tredicimila diverse restrizioni commerciali. Tanti sono gli ostacoli che la Cina ha posto all’export di materie prime critiche nel 2020. Si tratta di un aumento del 500% rispetto a dieci anni prima, in un trend che preoccupa gli analisti. La transizione tecnologica dipende infatti, in gran parte, da quanto sono oliati i canali commerciali tra poli di produzione e centri di consumo sul pianeta.
Ed è la Cina in questo quadro a tenere in mano le carte migliori. Secondo un’analisi dell’OCSE, il dragone sta continuando nella sua politica di aumento dei colli di bottiglia all’export, che innalzano i costi di mercato delle materie prime e fanno lievitare il prezzo della transizione verso l’energia pulita. Oltre a Pechino, anche India, Argentina, Russia, Vietnam e Kazakistan hanno introdotto nuove restrizioni all’esportazione sulle materie prime critiche nel periodo 2009-2020. Sono gli stessi paesi da cui i membri OCSE importano la quota principale di questi materiali. Di qui la preoccupazione dell’organizzazione.
Negli ultimi dieci anni il litio, le terre rare, il cromo, l’arsenico, il cobalto, il titanio, il selenio e il magnesio hanno registrato la crescita maggiore nella produzione, con volumi in aumento che vanno dal +33% per il magnesio al +208% per il litio. Tuttavia, questo trend è ben al di sotto dell’incremento necessario a incontrare le esigenze della transizione verde, che si prevede comporti una domanda di 4-6 volte superiore a quella attuale.
“La sfida di raggiungere emissioni nette zero richiederà un significativo aumento della produzione e del commercio internazionale di materie prime critiche – ha affermato il segretario generale dell’OCSE, Mathias Cormann – I responsabili politici devono esaminare attentamente come la concentrazione della produzione e del commercio, unita al crescente ricorso alle restrizioni all’esportazione, stanno influenzando i mercati internazionali delle materie prime essenziali. Dobbiamo assicurarci che le carenze di materiali non ci impediscano di rispettare i nostri impegni in materia di cambiamento climatico”.
I risultati dell’OCSE riflettono uno scenario in cui le società minerarie si trovano di fronte a molteplici difficoltà perché i governi ricchi di risorse minerali ma meno industrializzati del Nord globale hanno deciso di rinegoziare tariffe, messo veti all’export e chiesto che una quota maggiore di produzione e lavorazione dei minerali venga svolta sul loro territorio, per evitare di svendere questi materiali ad alto valore e con una forte richiesta, all’occidente ricco e industrializzato.