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Sostenibilità: l’Italia è in fondo alla classifica europea per performance economiche

Presentata la seconda edizione del Rapporto Italia Sostenibile di Cerved. L’indice generale, che integra aspetti economici, sociali e ‘verdi’, ci colloca al 15mo posto su 29. Si conferma la spaccatura tra Nord e Sud: Milano, Bolzano, Padova, Trento, Treviso e Bergamo le province più sostenibili; Siracusa, Vibo Valentia, Agrigento, Reggio Calabria e Crotone in coda,

Sostenibilità
Andrea Mignanelli, AD Cerved

L’Italia non brilla per sostenibilità: su 29 nazioni europee analizzate da Cerved occupa la quindicesima posizione ed è al di sotto della media soprattutto a causa delle cattive performance economiche e sociali, mentre vanta un buon livello di sostenibilità ambientale. Tuttavia, se scorporate, le regioni di Nord Ovest e Nord Est si piazzano addirittura al sesto e settimo posto, immediatamente a ridosso dei migliori cinque Paesi monitorati (Svezia, Danimarca, Paesi Bassi, Germania, Finlandia). La debolezza italiana è soprattutto economica: hanno risultati peggiori solo Romania, Cipro e Grecia, anche a causa di una produttività che da più di vent’anni non registra alcun miglioramento. Questa stagnazione, dovuta a una scarsa attrattività per gli investimenti esteri e alla limitata capacità di innovazione (investiamo poco in ricerca e sviluppo e siamo ultimi tra i grandi Paesi per digitalizzazione), è all’origine della crescita stentata, dei redditi fermi da dieci anni e del basso tasso di occupazione (57%, 10 punti sotto la media UE).
Non è certo una fotografia lusinghiera quella che esce dalla Seconda edizione del Rapporto Italia Sostenibile, presentato oggi da Cerved Group. Lo studio, prendendo in esame centinaia di variabili tratte dall’ampio database di informazioni proprietarie del Gruppo e da fonti pubbliche, definisce un indice generale di sostenibilità che integra aspetti economici, sociali e ambientali dei singoli territori.

“Con questo strumento – commenta Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved Group – ci proponiamo di aiutare i decisori, le istituzioni e le imprese a ragionare in termini di impatto: occorre misurare il fabbisogno delle comunità per pianificare correttamente gli obiettivi dei progetti pubblici e aziendali. Colpisce, nei confronti internazionali (introdotti quest’anno) come in quelli tra le province italiane, l’evidente correlazione tra capacità di innovazione del tessuto produttivo e velocità della transizione ecologica. Ciò significa che le grandi questioni del riequilibrio sociale e ambientale non sono separabili dai problemi strutturali che limitano lo sviluppo”.

Ma per crescere l’Italia ha soprattutto bisogno di portare a bordo le PMI anche sui temi della sostenibilità. “Le piccole e medie imprese devono poter misurare i risultati raggiunti in ambito ESG se vogliono attrarre capitali e crediti, italiani e stranieri – conferma Mignanelli -. La continua crescita della finanza sostenibile rappresenta infatti un motivo di ottimismo, il 2021 è stato l’anno del debito sostenibile, le emissioni mondiali di prestiti e obbligazioni legati a progetti e parametri sociali e ambientali sono cresciute in modo esponenziale e il nostro Paese figura ai primi posti per obbligazioni green emesse. I capitali degli investitori e i crediti bancari si dirigono sempre più verso aziende capaci di fornire misure credibili della loro sostenibilità ed estendere queste misure alle PMI è determinante per l’attrattività del Paese.

Cerved vuole ancora una volta fare la sua parte, mettendo a disposizione l’ampio patrimonio di dati, tecnologie e competenze di cui dispone. Questo impegno ha assunto per il nostro Gruppo il valore di una missione: supportare le istituzioni, le comunità e le imprese a proteggersi dal rischio e crescere in modo sostenibile”.

La mappa europea della sostenibilità sociale (capitale umano, assistenza sociale, fragilità delle famiglie, sistema sanitario, di sicurezza e giustizia) restituisce un quadro molto simile a quello della sostenibilità economica, collocando l’Italia al di sotto della media europea, al diciottesimo posto tra i paesi analizzati. I forti divari territoriali sono confermati anche a livello sociale, con il Mezzogiorno al terz’ultimo posto, davanti solo a Grecia e Romania. Le debolezze dell’Italia derivano soprattutto da un’elevata fragilità delle famiglie (più di un quarto è a rischio povertà), da una scarsa capacità di formazione del capitale umano e da un sistema di sicurezza e giustizia molto poco efficiente. L’Italia spicca però nell’assistenza sociale e, soprattutto, nella sanità, dove si piazza al settimo posto.

La musica cambia, invece, quando si considera l’indice di sostenibilità ambientale: l’Italia è al nono posto, prima della Francia. Le regioni del Sud restano indietro, ma con un divario molto più ridotto. In particolare, pur con un territorio più fragile dal punto di vista sismico e idrogeologico, l’Italia vanta indici migliori della media europea in tutte le altre dimensioni analizzate: sono più bassi i livelli di inquinamento e le emissioni di gas serra, in netto calo negli ultimi anni. Per quanto riguarda i consumi e la riconversione energetica, l’Italia è sostanzialmente in linea con l’Europa, con un quinto dell’energia consumata che proviene da fonti rinnovabili, mentre i risultati sono decisamente migliori nel caso delle emissioni industriali: 5 tonnellate per abitante, con una riduzione del 25,4% dal 2011 al 2020, superiore di dieci punti alla media UE. 

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LA MAPPA DELLE PROVINCE – La mappa della sostenibilità delle province italiane – sempre definita in base all’indice che sintetizza la componente economica, sociale e ambientale – conferma l’ampio divario che esiste tra il Nord e il Sud della Penisola: Milano, Bolzano, Padova, Trento, Treviso e Bergamo sono le province più sostenibili, mentre Siracusa, Vibo Valentia, Agrigento, Reggio Calabria e Crotone chiudono la classifica; la provincia meridionale migliore è Bari, al 51mo posto su 107.


Le prime province per indice di sostenibilità economica sono tutte al Nord: Milano è in testa, seguita a una certa distanza da Bologna e Torino; in coda troviamo Caltanissetta, Agrigento e Trapani. Bisogna scendere fino alla 17ma posizione per trovare Firenze, alla 24ma per Roma e alla 60ma per la prima provincia del Sud, Bari. La sostenibilità sociale è fortemente correlata a quella economica: le prime dieci province, con la sola eccezione di Pisa, sono al Nord, a partire da Milano, Padova e Bolzano; le ultime risultano Crotone, Reggio Calabria e Caserta. In particolare, nelle province del Sud è più alta la quota di famiglie a rischio di esclusione sociale: se infatti esiste un Centro-Sud resiliente, come le grandi aree urbane di Bari e Napoli, che pur con livelli di sostenibilità medio-bassi possono contare su un sistema produttivo vitale, importanti infrastrutture e istituzioni formative, le intere Calabria e Sicilia e ampie aree di Campania e Puglia mostrano tessuti produttivi deboli e vaste sacche di fragilità sociale.

L’indice di sostenibilità ambientale (livelli di inquinamento, situazione idrogeologica e sismica, gestione delle scorie e dei rifiuti, rischio della transizione energetica nei sistemi produttivi) non replica invece la spaccatura tra Nord e Sud: Macerata, Bergamo e Monza Brianza sono le tre province migliori, Siracusa, Isernia e Ferrara le peggiori. Al Sud le posizioni più alte sono di Enna (quarto posto) e Lecce (nono). In generale le aree metropolitane sono penalizzate da più alti livelli di inquinamento ma evidenziano risultati migliori in termini di consumi e riconversione energetica: Milano, Torino, Venezia e Padova sono le province che più frequentemente hanno superato le soglie di inquinamento da PM10, mentre Viterbo, Macerata e Urbino risultano le migliori. In termini di riconversione energetica (energia generata da fonti rinnovabili) sono invece i grandi centri a stare nella parte alta della classifica, con Brescia, Torino e Aosta a occupare le prime tre posizioni. Molto diversa anche la capacità di gestire scorie industriali e rifiuti urbani: spiccano Treviso, Mantova e Pordenone, mentre sono in grave difficoltà Grosseto e grandi città come Palermo, Genova, Catania, Trieste, Venezia, Firenze e Roma, che occupa la 94° posizione.

Vi sono poi 14 province estremamente eterogenee – città portuali come Brindisi e Livorno, aree montane come Aosta e Sondrio, economie agroalimentari come Lodi e Siena o caratterizzate dall’industria pesante come Terni – il cui specifico tessuto produttivo dovrà affrontare pesanti costi per la transizione.

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LA TRANSIZIONE SOSTENIBILE, RISCHI E COSTI PER IL SISTEMA PRODUTTIVO – Una delle novità del Rapporto Italia Sostenibile 2022 è l’analisi della distribuzione del rischio fisico (sismico e idrogeologico) e di quello di transizione secondo i criteri della Tassonomia UE, individuando i settori e le aree che avranno maggiori costi per effettuare i necessari interventi, e dunque necessiteranno di più risorse.

Incrociando le informazioni sulle sedi di tutte le società italiane con le mappe dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) è stata valutata l’esposizione di imprese e immobili alle diverse componenti del rischio fisico. Sono più di un milione (il 19,3% di 5,3 milioni, quelle iscritte al Registro delle Imprese) e impiegano 3,3 milioni di addetti le aziende a rischio fisico ‘alto’ o ‘molto alto’, in particolare nelle province appenniniche come L’Aquila, Vibo Valentia e Isernia; cifra che si dimezza (550.000, oltre 2 milioni di lavoratori) se si valuta solo il rischio di frane e alluvioni, più forte nel Nord-Est, in Liguria e nel Delta del Po (Ferrara, Bologna e Pisa tra le province più esposte).

Basandosi sulla Tassonomia UE e su una serie di informazioni aggiuntive, Cerved ha poi definito un sistema che misura il grado di esposizione delle imprese italiane al processo di transizione, distinguendo quattro classi di rischio: i settori – come quelli dei combustibili fossili, o gli energivori – che necessitano di ingenti investimenti per riconvertire la produzione o ristrutturare gli impianti (a rischio transizione alto o molto alto); i settori manifatturieri, come ad esempio il sistema moda, che dovranno fare investimenti meno sostanziosi (a rischio medio); quelli a basso rischio e i settori green, già in linea con i requisiti previsti dalla normativa. In base a questa classificazione operano in Italia 932.000 società (2 milioni di addetti) con un rischio di transizione alto e molto alto, che dovranno sopportare notevoli costi per adeguarsi a un’economia a emissioni zero.

La gran parte delle risorse finanziarie che possono essere mobilitate (14,8 miliardi di euro su 20,6 totali) è concentrata al Nord, mentre al Sud, l’area in cui incidono maggiormente le attività a rischio transizione, il potenziale da investire rappresenta solo il 12,8% (2,6 miliardi).

Purtroppo, molte province specializzate in settori che dovranno affrontare forti cambiamenti hanno imprese con una struttura finanziaria più debole e quindi meno pronta agli investimenti: a Potenza il 29,4% degli addetti opera in attività a rischio alto e molto alto di transizione, a Taranto il 29,3%, a Chieti il 27,7%, a Campobasso il 26%. Le province più esposte sono anche caratterizzate dagli indici di attrattività più bassi e spesso hanno scarsi livelli di sostenibilità sociale: i cambiamenti richiesti potrebbero aumentare povertà ed esclusione sociale in province come Taranto, Siracusa e Crotone.