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Siccità: invasi, reti interconnesse e riuso per uscire dalla logica dell’emergenza

Nel 2022 ben 9 regioni hanno dichiarato lo stato di emergenza e sono stati stanziati 56 milioni per limitare i disagi a cittadini e imprese. Dagli invasi si potrebbero recuperare circa 1,9 miliardi di metri cubi d’acqua

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Il rapporto di Fondazione Utilitatis “Scenari climatici e adattamento – Il ruolo delle Utilities nella siccità”

Aumentare la capacità di invaso, differenziare l’approvvigionamento idrico, incrementare il riuso dell’acqua e potenziare gli investimenti nella depurazione. Sono queste le azioni principali da mettere in campo per contrastare efficacemente la siccità, che nella sola estate del 2022 ha visto dichiarare in 9 regioni lo stato di emergenza, con uno lo stanziamento di 56 milioni di euro per mettere in campo interventi urgenti per limitare i disagi per la popolazione e le attività economiche. Sono alcuni degli aspetti che emergono dal Rapporto di Fondazione Utilitatis “Scenari climatici e adattamento – Il ruolo delle Utilities nella siccità” presentato oggi; uno studio che, partendo dall’ultima grave crisi idrica che ha colpito il nostro Paese e dalle proiezioni climatiche per l’area mediterranea, analizza lo stato delle infrastrutture idriche, gli investimenti nel settore e le azioni di breve e lungo termine da mettere in atto per uscire dalla logica dell’emergenza e pianificare un futuro in cui sia possibile garantire la disponibilità della risorsa idrica tutelando al contempo l’ambiente. Il documento è stato realizzato in collaborazione con il Dipartimento Nazionale di Protezione Civile ed Enea.

Gli scenari futuri, disegnati per l’area italiana, vedono variazioni in intensità e distribuzione delle precipitazioni, un aumento dell’evapotraspirazione, una diminuzione dell’umidità del suolo e una maggiore frequenza di eventi siccitosi che possono minacciare la disponibilità idrica. Del resto, negli ultimi 70 anni in Italia, si è osservato un aumento statisticamente significativo delle zone colpite da siccità estrema e, negli ultimi 9 anni, la temperatura nelle principali città italiane è salita di circa 1,3°C. Un aumento della frequenza di queste condizioni avrà certamente effetti sul ciclo idrologico per cui sono necessari degli interventi strutturali con il fine, per esempio, di immagazzinare quanta più acqua possibile, diversificare l’approvvigionamento e puntare sul riutilizzo delle acque reflue.

Per raggiungere questi obiettivi è necessario, in primo luogo, aumentare la capacità d’invaso: in Italia sono censiti 532 grandi invasi per un volume potenziale invasabile pari a 13,7 miliardi di metri cubi d’acqua, ma la capacità autorizzata è pari a circa 11,8 miliardi di metri cubi. Occorre, laddove possibile, superare gli ostacoli tecnici e autorizzativi per recuperare circa 1,9 miliardi di metri cubi d’acqua, e al contempo investire in nuove invasi e serbatoi, anche interconnessi, per immagazzinare la maggior quantità d’acqua possibile e favorirne l’uso plurimo.

Per differenziare l’approvvigionamento bisogna invece puntare sull’interconnessione delle reti idriche, strumento utile per rendere condivisibili anche tra zone remote e in tempi differiti le risorse idriche a livello sovra-regionale. Laddove possibile, poi, la dissalazione si offre come valida tecnologia di supporto, soprattutto nei contesti dove l’acqua dolce non è disponibile come ad esempio le isole minori o le zone che soffrono della risalita del cuneo salino: in Italia le acque marine o salmastre rappresentano solo lo 0,1 % delle fonti di approvvigionamento idrico, contro il 3% della Grecia e il 7% della Spagna.

Un altro elemento centrale riguarda il riutilizzo delle acque reflue. Il parco dei depuratori italiani conta almeno 3.678 impianti: il completo riutilizzo delle acque reflue depurate per fini agricoli, consentirebbe di sfruttare 5,8 miliardi di metri cubi di acqua, considerando la totalità degli impianti italiani, e 4,2 miliardi di metri cubi di acqua, calcolando solo i più grandi impianti dotati di trattamenti avanzati. Nei due casi si tratterebbe, rispettivamente, di quasi la metà e di circa un terzo del fabbisogno agricolo nazionale in termini di volumi irrigui.

È necessario infine incrementare gli investimenti nella depurazione, soprattutto al Sud dove si fermano a 18 euro l’anno per abitante contro una media nazionale di 24 euro. Ciò non solo per il superamento delle 939 procedure di infrazione (di cui ben il 72% è concentrato nelle regioni meridionali) ma anche per la possibilità di riutilizzare le acque depurate grazie anche all’elevato potenziale irriguo di molte regioni.

Gli effetti dei cambiamenti climatici sul ciclo dell’acqua – evidenzia la direttrice di Fondazione Utilitatis, Francesca Mazzarella – possono avere un impatto critico su infrastrutture, agricoltura, biodiversità e dunque sulla società civile. Le imprese che operano nel servizio idrico sono chiamate ad adottare un nuovo approccio alla pianificazione industriale e alla gestione di reti e impianti, vista anche la riduzione della quantità di risorsa idrica rinnovabile che potrebbe manifestarsi in futuro. Il Rapporto sottolinea l’importanza di una pianificazione strategica per uscire dalla logica dell’emergenza che rischia di farci trovare impreparati alla sfida climatica che ci attende”.

Per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, le aziende italiane del settore idrico sono pronte a mettere in campo investimenti per circa 11 miliardi di euro nei prossimi 3 anni: 7,8 saranno destinati ad interventi per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento idrico delle aree urbane ed una maggiore resilienza delle infrastrutture, e 3,1 miliardi per contrastare il fenomeno delle dispersioni idriche.

I periodi siccitosi – spiega il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – vanno affrontati con interventi che favoriscano la resilienza delle reti idriche nell’ambito di un approccio globale che consideri tutti i diversi utilizzi dell’acqua nel nostro Paese. Ma per garantire nei prossimi anni un approvvigionamento sicuro di acqua potabile, servono azioni sinergiche che coinvolgano anche il mondo agricolo e industriale nonché interventi non più procrastinabili sul fronte della governance. Per questo motivo la Federazione si è fatta promotrice di una proposta di riforma del settore in quattro punti, espressione degli stessi gestori che intendono elevare il livello degli investimenti e la qualità dei servizi offerti ai cittadini. Le nuove sfide poste dal cambiamento climatico, insieme alle norme europee che stabiliranno standard ambientali sempre più stringenti, impongono al comparto un cambio di passo: attraverso le nostre proposte di riforma siamo convinti di poter raggiungere l’obiettivo 100, arrivando a un centinaio di gestori industriali di media/grande dimensione e a un livello di investimenti di 100 euro l’anno per abitante, rispetto ai 56 euro attuali”.