È quanto rileva il nuovo rapporto del Pulsee Luce e Gas Index, osservatorio sulle abitudini degli italiani realizzato da Pulsee, brand digitale e green di luce e gas di Axpo Italia, in collaborazione con la società di ricerche di mercato NielsenIQ.
Nonostante le criticità degli ultimi tempi, lo shopping continua a essere considerato un’attività di svago e divertimento. Per oltre l’81% degli intervistati “fare acquisti” è infatti positivo e, per il 50%, persino piacevole, oltre che restare ancora un’esperienza fortemente “analogica” (per il 70% avviene in store e negozi “fisici” rispetto al 30% che si affida agli e-commerce). D’altronde, il modo di vestirsi viene visto come un’importante espressione della propria identità (più del 76% del campione analizzato). La ricerca della bellezza e del buon gusto per formare uno stile personale non passa però attraverso acquisti compulsivi, ma ponderati: oltre il 78% afferma di riflettere attentamente prima di comprare qualcosa.
Questo dato è confermato dalla frequenza con cui si va a fare shopping. In base al rapporto, che ha coinvolto un campione di uomini e donne tra i 18 e i 65 anni residenti in tutta Italia, il 32% acquista vestiti 1-2 volte al mese, mentre diventa un’operazione più saltuaria (1-2 volte ogni sei mesi) per il 22%. Tali abitudini riflettono un’elevata sensibilità nei confronti della moda sostenibile (72,5% degli intervistati) e come il “comprare consapevolmente” capi d’abbigliamento sia ritenuto prioritario per ridurre l’impatto ambientale dei consumi individuali (80,5%).
D’altra parte, nonostante la diffusione dei comportamenti virtuosi menzionati prima, più del 43% degli italiani (nello specifico, 34,8% degli uomini e 52,5% delle donne) afferma di aver acquistato più volte indumenti e scarpe e di non averli mai indossati. Una possibile risposta a questa attitudine viene dalla quantità di capi posseduti: circa il 50% del campione analizzato ha stimato di avere rispettivamente dai 50 ai 150 vestiti e dalle 5 alle 10 paia di scarpe nel guardaroba di casa. Tuttavia, in vista del progressivo rinnovamento del vestiario, c’è una forte aspettativa di cambiamento da parte dei consumatori nei confronti dei marchi: per più dell’82% è necessario che i grandi brand di moda riducano i consumi di energia, di acqua e altre materie prime a favore di una catena di fornitura e prodotti più sostenibili.
Nel dettaglio, tra i principali requisiti di sostenibilità per un capo d’abbigliamento, figurano: processi produttivi che rispettano standard ambientali (53,5% degli intervistati), selezione di materiali naturali/organici (45,5%), garanzia di condizioni dignitose per i lavoratori che intervengono nel processo di produzione (44,5%, con un picco del 57,6% nella fascia 18-25 anni), resistenza e robustezza costruttiva (39%). Importante è ritenuta anche l’applicazione dei principi di economia circolare, usando materiale proveniente da scarti (26,5%). Inoltre, in fase di acquisto, la preferenza è data principalmente a t-shirt e magliette “green” (46,9%), maglioni e felpe (31,1%), intimo e pigiami (24,6%).
Lo studio mette in luce anche alcuni limiti per la diffusione dell’abbigliamento sostenibile: per il 34,9% del campione, il prezzo elevato costituisce una barriera d’accesso insieme alla difficoltà di individuare punti vendita dove poter acquistare. Ad ogni modo, esiste un’alternativa vantaggiosa per l’ambiente: il mercato dell’usato e del vintage. In quest’ambito si compra tramite siti specializzati (39,4% degli intervistati), ma anche presso le bancarelle dei mercati rionali (34,6%) e nei negozi (30,3%).
Peraltro, un italiano su quattro dichiara di comprare oltre la metà dei capi d’abbigliamento in questo modo (con una quota del 34,5% tra i giovani della fascia 18-25 anni e del 15,8% tra gli adulti della fascia 46-55 anni). Si tratta soprattutto di una questione di risparmio (47,9%) ma anche di coscienza ambientale, per inquinare meno (27,7%, valore che sale al 44,8% tra i giovani under 25 rispetto al 21,1% degli over 46). Tuttavia, non mancano alcuni condizionamenti pure per l’usato: il 42,5% degli interpellati ha timori legati all’igiene dei prodotti, mentre il 40,6% dichiara di non fidarsi dello stato dei capi.
Ad ogni modo, il mercato “second hand” dell’abbigliamento piace, soprattutto ai genitori. Il 42,6% compra vestiti usati per i propri figli, mentre l’86,3% afferma di aver recuperato abbigliamenti e accessori regalati da parenti e amici che hanno bambini più grandi. A questa pratica si aggiunge lo “swapping”, ovvero lo scambio di vestiti con altre persone, che resta però un fenomeno circoscritto: soltanto il 15,8% del campione vi ricorre frequentemente attraverso una cerchia di contatti intimi, come la famiglia o gli amici.
Infine, gli indumenti non più utilizzati – nuovi o di seconda mano – vengono donati ad associazioni (50% del campione), regalati (45,8%) oppure rivenduti (26% delle preferenze). In quest’ultimo caso, sono messi a disposizione sulle piattaforme per la compravendita di abbigliamento usato (70,2%) e di oggetti usati (26,9%); in misura minore, invece, sono venduti a negozi fisici (21,2%) o direttamente a conoscenti (14,4%).
La condivisione è un valore centrale nella moda, ma anche nell’energia. Pulsee l’ha adottato attraverso il servizio di Cost sharing, attualmente unico nel mercato dell’energia, che dà la possibilità di dividere la bolletta fino a cinque quote personalizzabili e su altrettanti sistemi di pagamento differenti. Mettendo al centro, come le nuove tendenze per l’abbigliamento, la sostenibilità, tutti i prodotti di Pulsee Luce e Gas includono sempre energia elettrica certificata al 100% rinnovabile. Oltre a questo, Pulsee dà accesso ad una serie di servizi aggiuntivi come Carbon Footprint e Gas Compensation, che permettono rispettivamente di compensare le proprie emissioni di CO2 e quelle legate alla propria fornitura di gas e azzerare l’impronta ecologica dei clienti.