“Oggi produrre un kilowattora di elettricità dal nucleare costa almeno 2,5 volte tanto che produrla dal fotovoltaico, se consideriamo nel computo davvero tutti i costi”, spiega Sandro Esposito, Direttore Generale di CCE Italia.
Non sono solo gli sviluppatori e operatori di eolico e fotovoltaico a meravigliarsi del fatto che il governo Meloni, nella nuova versione del Pniec presentata a Bruxelles lo scorso luglio, proponga il ritorno dei reattori in Italia e presenti uno scenario nel quale entro il 2050 l’11% dell’elettricità derivi dall’atomo.
La proposta, di fatto, sorprende molti, dal momento che l’Italia fu uno dei primi Paesi a decidere, già a metà degli anni ’80 – dopo la catastrofe di Chernobyl – di uscire dal nucleare. Più recentemente, gli italiani e le italiane hanno ribadito la propria posizione contraria all’atomo in un secondo referendum, quello del 2011, dopo il disastro di Fukushima, in Giappone.
Secondo i sondaggi, ben tre quarti della popolazione è contraria all’energia atomica, tuttavia le conseguenze della guerra in Ucraina e i prezzi di gas ed elettricità saliti alle stelle stanno mettendo sotto forte pressione l’economia e le famiglie italiane. Nel frattempo, prosegue la crescita delle rinnovabili: attualmente, l’Italia soddisfa il 40% del proprio fabbisogno energetico tramite energia verde. Il grosso svantaggio delle FER, tuttavia, rimane la loro dipendenza dalla disponibilità di sole e vento, così come la possibilità, ancora limitata, di immagazzinare sul lungo termine l’energia pulita prodotta.
L’energia nucleare è davvero più conveniente?
L’energia nucleare è comunemente ritenuta una fonte di energia molto economica – se non si considerano i costi che derivano dallo stoccaggio finale delle scorie. Dalla Germania, che ha completato la sua uscita dal nucleare solo due anni fa, sappiamo che lo stoccaggio temporaneo e finale dei rifiuti radioattivi può arrivare a costare tra uno e tre miliardi di euro, per ogni impianto.
Questo torna a far salire sorprendentemente il costo dell’elettricità prodotta dal nucleare:
“Oggi produrre un kilowattora di elettricità dal nucleare costa almeno 2,5 volte tanto che produrla dal fotovoltaico, se consideriamo nel computo davvero tutti i costi”, sostiene Sandro Esposito, Direttore Generale di CCE Italia, società dell’internazionale CCE Holding.
Un ulteriore svantaggio del nucleare che va considerato nel dibattito attuale è rappresentato dal fatto che anche impianti modulari di piccola taglia – quelli di cui parla il Governo Meloni – hanno un tempo di realizzazione che va dai 10 ai 15 anni. Questo tipo di impianti, pertanto, non offre, allo stato attuale delle cose, alcun tipo di alleggerimento per il mix energetico nazionale.
Un ostacolo per ulteriori investimenti nelle rinnovabili
Grazie alla sua posizione geografica, con una lunga linea costiera e molto ore di sole, l’Italia è predestinata ad accogliere le rinnovabili. Nel 2023 la Commissione Europea ha approvato un investimento di 450 milioni di euro per sostenere la produzione integrata di idrogeno verde ed energia da fonti rinnovabili in aree industriali dismesse. In aggiunta, con il progetto del corridoio meridionale dell’idrogeno che collegherà il Nord Africa all’Europa Centrale, la posizione dell’Italia come esportatrice di energia potrebbe migliorare significativamente: l’Italia potrebbe importare circa 4,4 milioni di tonnellate di idrogeno dal Nord Africa e, secondo le stime, esportare 1,7 di queste verso l’Austria e la Germania. A patto che si continui a investire in grandi progetti per le FER e nelle infrastrutture a esse collegate.
Molti esperti ritengono che le considerazioni della politica sul ritorno all’energia nucleare siano una minaccia per ulteriori investimenti nelle FER: “Dal Governo abbiamo bisogno di un chiaro schieramento a favore del fotovoltaico e dell’idrogeno verde. Altrimenti, l’Italia si ritroverà a cedere il proprio ruolo da pioniere nel settore della produzione energetica da fonti rinnovabili, a favore di una forma di energia a cui, per ottime ragioni, abbiamo rinunciato già 30 anni fa”, prosegue Sandro Esposito.
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Informazioni
CCE Italia sviluppa, realizza e gestisce impianti fotovoltaici a terra utility-scale. Dalla sua sede a Jesi (Ancona), CCE Italia opera su tutto il territorio nazionale, gestendo una pipeline attuale da 2,5 GW. Nata nel 2017 dalla joint venture tra le società enernovum e Clean Capital Energy per lo sviluppo della grid parity in Italia, dal 2021 CCE Italia si è fusa nella CCE Holding, che ha proprie controllate in altri sei Paesi del mondo: Austria, Francia, Paesi Bassi, Germania, Romania e Cile.
Dalla sua sede a Vienna, CCE Holding è attiva nell’ambito della realizzazione, finanziamento, flessibilizzazione e gestione dell’operatività di impianti fotovoltaici utility scale a terra e su tetti industriali. La società opera per dare un contributo significativo alla transizione energetica globale, con un approccio orientato alle soluzioni maturato grazie alla lunga esperienza nell’intera catena del valore delle rinnovabili.
CCE aderisce ai dieci principi del Global Compact delle Nazioni Unite in materia di diritti dei lavoratori, tutela dell’ambiente e lotta alla corruzione in tutte le sue forme.