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Aziende italiane e clima, ogni grado in più diminuisce il fatturato

Analizzate oltre un milione di aziende per dieci anni dal 2009. Centro e Nord Est le zone più colpite in percentuale, Lazio e Veneto anche in cifra assoluta (nel 2018 perdono ciascuna 27 e 25 miliardi di entrate, come la Lombardia, che però complessivamente tiene meglio)

Aziende italiane
Foto di Ronald Carreño da Pixabay

Il cambiamento climatico costa al sistema economico, e non poco. Esaminando dieci anni (2009-2018), un grado in più di temperatura ha determinato una riduzione media di fatturato e redditività per le aziende italiane pari rispettivamente a -5,8% e -3,4%. Se poi si considerano le variazioni effettive del clima nelle varie aree geografiche, nel solo 2018 – anno particolarmente caldo – il nostro tessuto imprenditoriale ha registrato mancati ricavi per 133 miliardi di euro, con le maggiori perdite percentuali al Nord Est e al Centro.

È quanto emerge dal primo anno di attività dell’Osservatorio Climate Finance della School of Management del Politecnico di Milano, che ha presentato oggi i principali risultati in un convegno online. Perché il surriscaldamento globale, causa sempre più frequente di eventi meteorologici estremi, è ormai a pieno titolo un tema economico. 

“Abbiamo sviluppato un database che incrocia le informazioni economico/finanziarie su 1.154.000 imprese in Italia tra il 2009 e il 2018 (22 milioni in Europa) con i dati meteorologici di temperatura, piovosità, irraggiamento solare dal 1950 – spiega Vicenzo Butticè, vicedirettore dell’Osservatorio – per trovare evidenze empiriche solide sul rapporto che lega clima e sistema economico”. Ne sono derivate metriche affidabili per supportare gli enti regolatori, le istituzioni finanziarie e le realtà produttive nell’analisi economico/finanziaria del cambiamento climatico.

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L’Osservatorio ha infatti calcolato i danni reali, non ipotetici, dovuti all’aumento della temperatura di 1 grado centigrado in Italia: le piccole imprese sono quelle che più hanno perso in redditività (-4%, a fronte del -5,3% di fatturato), mentre le grandi realtà, potendo meglio agire sui costi e sui processi, nonostante una diminuzione di ricavi e di domanda pari quasi al triplo (-14,6%), hanno contenuto la perdita di marginalità a -3,6%.

Tra i settori, le costruzioni (fatturato a -16,2%, Ebitda a -6,8%), la finanza (-11,8% e -5,9%), che ha subìto un impatto sia diretto che indiretto attraverso i danni alle imprese clienti, e le estrazioni (-10,4% e -7,6%) hanno patito i maggiori contraccolpi dall’aumento della temperatura. L’information technology, il real estate e la ricerca e innovazione hanno visto lo stesso calo di fatturato (-6,4%) a fronte però di una diminuzione della marginalità ben differente (rispettivamente -6,8%, -4,6% e -3%). Il manifatturiero (-5,2% di fatturato e -2,4% di Ebitda) e il retail (-4,5% e -3,1%) sono i settori che si sono meglio difesi, preceduti solo da agricoltura, turismo e trasporti che, scarsamente impattati, hanno contenuto entrambi gli indicatori entro il -3%.

Gli impatti negativi regione per regione e il caso del 2018

In termini geografici invece, sempre a fronte di un grado in più di temperatura, la ricaduta è stata peggiore al Centro(-10,6% di fatturato e -8,5% di Ebitda) e nel Nord Est (-10% e -4,2%), dove però le aziende italiane sono riuscite a conservare una maggiore marginalità. Il Nord Ovest ha visto una brusca perdita di redditività (-6,8%) ma non altrettanto di fatturato (-4,5%), mentre il Sud e le Isole hanno risentito poco dei cambiamenti climatici (rispettivamente -1% e -2,3% di Ebitda; -4,3% e -3,1% di fatturato).

Per avere un’analisi più puntuale, regione per regione, si è analizzato in dettaglio il 2018, anno più caldo della media nel decennio considerato a cui è corrisposto, in Italia, un calo di fatturato di 133 miliardi di euro. In percentuale, le maggiori ripercussioni si sono avute appunto nel Nord Est (Veneto -7,1%, Trentino Alto Adige -6,7%, Friuli Venezia Giulia -6,4%) e nel Centro (Toscana -6,5%, Lazio -6,3%, Emilia Romagna -5,2%, Umbria -3,2%; Marche e Abruzzo non hanno dato stime apprezzabili), mentre il Nord Ovest ha contenuto le perdite (Lombardia e Liguria -3%, Piemonte -2,5%; in controtendenza la Valle d’Aosta, -4,1%). Decisamente più limitati i danni al Sud: Calabria e Sardegna si sono attestate a -2%, soglia al di sotto della quale si collocano tutte le altre regioni, dalla Basilicata (-1,9%) al Molise (-1,4%), alla Campania (-1,2%), alla Puglia (-1,1%), fino allo 0,07% della Sicilia.

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Esaminando invece il calo di fatturato in cifre assolute, le perdite decisamente più consistenti si sono registrate nel Lazio (quasi 27 miliardi di euro in meno), Lombardia (-25,7), Veneto (-24,7), Emilia Romagna (-17,3) e Toscana (-13,5). Seguono con danni sempre per miliardi, ma non più a due cifre, Piemonte (-6,1), Trentino Alto Adige (-5), Friuli Venezia Giulia (-4,2), Liguria (2,5), Campania (-1,9), Puglia e Umbria (-1,2). Sotto il miliardo, Sardegna (840 milioni), Sicilia (716), Calabria (circa 600), Basilicata (280), Valle d’Aosta (250), Molise (156), per finire con i 718.000 euro dell’Abruzzo e i 531.000 delle Marche.