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La classifica globale del greenwashing secondo i consumatori

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Via depositphotos.com

Il terzo rapporto globale sul greenwashing mostra che i cittadini non credono alle dichiarazioni di sostenibilità

(Rinnovabili.it) – I consumatori non si fidano delle aziende e la maggior parte è convinta che un po’ tutte facciano del greenwashing. Lo afferma una ricerca della società di analisi Kantar, che per il terzo anno pubblica i risultati di un sondaggio globale. 

Sulla base di 26 mila interviste in tutto il mondo, il rapporto prende in esame le azioni di 42 settori e ne stila una classifica. Giunto alla sua terza edizione, lo studio mette a confronto per la prima volta la percezione della sostenibilità dei consumatori. I dati mostrano che questi ultimi mettono il settore del lusso sullo stesso livello dell’industria del petrolio e del gas in termini di progresso su questioni sociali e ambientali. Al fondo della classifica finiscono l’industria del tabacco e delle sigarette elettroniche. In cima invece arrivano frutta e verdura, auto elettriche e ibride, prodotti vegani, prodotti proteici alternativi alla carne.

Oltre alla percezione della sostenibilità, la ricerca tenta di capire se i consumatori si sentano presi in giro dalle dichiarazioni delle aziende. Ne emerge un quadro interessante. Le preoccupazioni riguardo al greenwashing sono infatti elevate: oltre la metà degli intervistati ritiene che i marchi di sostenibilità in tutti i settori siano fuorvianti. La top 5 dei “mentitori”, secondo il campione intervistato, vede social media (60%), industria della carne (58%), abbigliamento e calzature (57%), automotive (57%) e supermercati (56%).

Mediamente, la fiducia cresce invece nei settori degli alimenti per animali domestici e dei prodotti per l’igiene dei bambini. Tuttavia, rimane una percentuale significativa di consumatori – più di 4 su 10 – convinta che anche per questi comparti le aziende condividano informazioni false o inaccurate riguardo ai loro sforzi di sostenibilità.

Il sondaggio fa emergere una dissonanza tra le intenzioni e i comportamenti dei consumatori nei confronti della sostenibilità. Si chiama “value action gap”. La discrepanza più notevole esiste per l’industria del petrolio e del gas (66%) e dell’abbigliamento e delle calzature (63%). Ma questo dipende anche dalle scarse alternative a buon mercato che le persone hanno per adottare comportamenti più sostenibili. Finché le industrie inquinanti restano ipersussidiate e le filiere ecologiche sottosviluppate, è difficile che un consumatore di medio-basso reddito possa far coincidere atteggiamenti e comportamenti.

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