Il Fondo Perdite e Danni è il nuovo pilastro della finanza per il clima globale
(Rinnovabili.it) – La prima sorpresa della Cop28 di Dubai arriva poche ore dopo l’avvio del vertice sul clima. La prima sessione plenaria ha approvato, per consenso, il Fondo Perdite e Danni. Era uno dei dossier più caldi, su cui i quasi 200 stati membri si sono scontrati per mesi durante le fasi preliminari dei negoziati. Ancora a metà novembre sembrava che i nodi da sciogliere fossero ancora molti. Invece in meno di 24 ore è arrivato il sì definitivo.
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La presidenza emiratina di turno strappa così una prima, grande vittoria: iniettare più equità nella finanza per il clima e consolidare il concetto che per portare a termine una transizione ecologica che sia anche giusta i paesi ricchi devono fare di più.
Cos’è il Fondo Perdite e Danni
Dopo più di 10 anni di trattative, l’anno scorso la Cop27 di Sharm el-Sheikh aveva finalmente raggiunto un accordo preliminare sulla creazione del Fondo Perdite e Danni (Loss & Damage). Si tratta di un fondo a compensazione per, appunto, le perdite e i danni che i paesi più vulnerabili alla crisi climatica dovrebbero ricevere dai paesi più ricchi.
I primi, in proporzione, hanno meno responsabilità nell’innesco e nell’aggravarsi del riscaldamento globale antropico rispetto ai maggiori inquinatori mondiali di oggi, che spesso sono anche i paesi che hanno consumato quote rilevanti del budget di carbonio globale perché protagonisti della rivoluzione industriale. Che si guardino le emissioni attuali o le emissioni storiche, è chiaro che la bilancia delle responsabilità non è in pari.
Il Fondo Perdite e Danni riconosce questa situazione e contribuisce a mitigare un altro problema: i paesi più vulnerabili al climate change generalmente sono anche quelli con le economie più fragili. Il rischio, quindi, è che i loro bilanci siano destinati sempre di più a fronteggiare le emergenze climatiche, sottraendo così risorse per l’adattamento e per la transizione. L’idea dei Loss & Damage è di evitare che si inneschi una sorta di “trappola del debito” in salsa climatica.
Cosa è chiaro e cosa no del fondo per i Loss & Damage
La sorpresa per l’approvazione lampo del Fondo Perdite e Danni deriva anche dal fatto che il testo dell’accordo, in realtà, non piace praticamente a nessuno. Di solito questa situazione – comunissima ai vertici sul clima – si traduce in trattative lunghe che si possono risolvere a poche ore dalla fine del vertice, o anche fuori tempo massimo. Capita soprattutto con i temi decisivi, com’è appunto la svolta nella finanza per il clima rappresentata dal dossier dei Loss & Damage.
Non è andata così. Sicuramente perché c’è stato un lavoro di convincimento da parte della presidenza emiratina. Basta a spiegare l’ok dato in tutta fretta? Forse no. La sensazione è che il Fondo Perdite e Danni, che diventa ora operativo a tutti gli effetti, sia in realtà ancora tutto da costruire. I dettagli, che dettagli non sono, ne definiranno l’importanza e l’utilità effettiva. Ed è su questi dettagli che la Cop28, probabilmente, ha voluto siglare una tregua momentanea. Meglio prendersi subito una vittoria facile e rinviare le ostilità a più tardi. Specie se nessuno dei due grandi blocchi di paesi che si sono fronteggiati su forma, ruolo e capacità del Fondo pensano di avere abbastanza forza per far passare le loro proposte.
Cosa sappiamo del Fondo? L’unico dato certo è che sarà ospitato dalla Banca Mondiale. Significa che la governance è in mano soprattutto ai paesi ricchi, Stati Uniti in testa, che controllano l’istituzione creata a Bretton Wood. I paesi in via di sviluppo (e la Cina) volevano che fosse ospitato dall’UNFCCC, quindi che la governance fosse distribuita in modo più equo.
Non sappiamo, invece, né quale sarà l’ammontare delle risorse disponibili, né qual è l’obiettivo di finanziamenti mobilitati ed entro che orizzonte temporale, né chi dovrebbe esattamente contribuire al Fondo e chi è invece titolato a ricevere il denaro. Tutti punti chiave per capire come funzionerà – e se funzionerà davvero – il Fondo Perdite e Danni.