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Con l’addio alla finanza fossile, nemmeno i ricchi piangono

L’addio alla finanza fossile peserebbe solo sui più ricchi. E solo per l’1% della loro ricchezza. I risultati di uno studio pubblicato su Joule

Sussidi fossili in Europa: come accelerare il phase out?
Foto di Bruno /Germany da Pixabay

Lo studio analizza la distribuzione degli stranded asset tra gli investitori divisi per fasce di reddito

(Rinnovabili.it) – Per tenere gli 1,5°C a portata di mano, la finanza deve abbandonare in fretta gli interessi legati alle fonti fossili. Ma quali possono essere le conseguenze per la popolazione, che ha investito i propri risparmi in strumenti finanziari che uscirebbero stravolti da questa fuga da carbone, petrolio e gas? Il tramonto della finanza fossile non sarebbe uno shock per la maggior parte delle persone, con il grosso dell’impatto che potrebbe essere assorbito dalle fasce di reddito più alte. Ed è quindi un’operazione assolutamente fattibile. Lo sostiene uno studio appena pubblicato su Joule.

Sia in Europa che negli Stati Uniti, l’addio alla finanza fossile peserebbe soprattutto sul 10% più ricco della popolazione. Per gli USA, lo studio stima gli stranded asset – gli investimenti fossili a rischio – in 350 miliardi di dollari. Di questi, solo il 3,5% colpisce la metà più povera della popolazione, e solo il 30% colpisce il 90% dei meno abbienti. “I restanti due terzi si dividono più o meno equamente tra l’1% dei detentori di ricchezza e il 9% successivo”, calcolano gli autori.

Una situazione non troppo distante da quella europea, dove le perdite potenziali per stranded asset sono stimate in circa 200 miliardi di dollari. La distribuzione delle perdite è analoga. Le attività finanziarie sono fortemente concentrate nelle mani delle fasce più ricche della popolazione: “a parte la Germania, il 10% superiore detiene il 70-90% del totale, a seconda dei paesi, ossia una concentrazione molto maggiore rispetto ai redditi o agli immobili”.

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Ma quanto pesano, in termini relativi, queste perdite sui più abbienti? Poco, sottolinea lo studio. Gli stranded asset a rischio corrispondono a meno dell’1% della ricchezza netta dell’1% più ricco della popolazione. Disinvestire dalle fossili non metterebbe a rischio capitali, situazione finanziaria, disponibilità economica o tenore di vita di questa fascia di popolazione.

Per questo, conclude lo studio, “i governi non dovrebbero essere scoraggiati dal rischio di stranded asset legati ai combustibili fossili, perché qualsiasi perdita di ricchezza che causi difficoltà economiche può essere compensata a basso costo”.