Nel 2020 erano stati mobilitati solo 83 mld su 100 per finanza climatica
(Rinnovabili.it) – La maggior parte del denaro viene speso in progetti che hanno poco a che vedere con il clima, anche se l’etichetta è quella della “climate finance”. E raramente l’obiettivo è realizzare delle misure di adattamento, quelle di cui c’è più urgenza. È il risultato dell’analisi condotta da Oxfam sull’uso dei fondi destinati alla finanza climatica dai paesi più ricchi in favore di quelli più vulnerabili alla crisi climatica.
Quest’anno, alla Cop28 di Dubai, si dovrebbe finalmente raggiungere la cifra di 100 miliardi di dollari l’anno destinati alla finanza climatica. La scadenza decisa nel lontano 2009, in teoria, era il 2020, ma tra pandemia e ritrosie dei paesi le risorse mobilitate sono state sempre troppo scarse. Nel 2020 sono stati raccolti appena 83 mld $. Ma anche se a dicembre si taglierà finalmente il traguardo, la qualità della spesa resta molto discutibile.
Cosa non funziona nella finanza climatica
C’è un problema enorme nel modo di conteggiare queste risorse, spiega Oxfam nel rapporto “Climate Finance Shadow Report 2023”. I paesi etichettano come finanza climatica in modo molto “creativo” delle risorse che in realtà erano già state mobilitate da altri fondi, ad esempio per aiuti internazionali allo sviluppo. Quindi spesso non si tratta di nuovi fondi. Vengono contati come aiuti per il clima anche risorse che finiscono in progetti per la salute o l’educazione. A conti fatti, scrive Oxfam, l’importo reale della finanza climatica mobilitata nel 2020 non va oltre i 21-24,5 miliardi di dollari.
Non è l’unico aspetto critico. Questa finanza climatica prende troppo spesso – il 51% delle volte – la forma di prestiti (che devono essere rimborsati e quindi pesano su paesi già vulnerabili) e troppo raramente di sovvenzioni. I prestiti, poi, spesso sono a condizioni pari a quelle di mercato. Molto di rado i progetti finanziati tengono conto di aspetti cruciali come le tematiche di genere o supportano iniziative guidate da organizzazioni locali. E ancora: solo il 33% delle risorse pubbliche destinate alla finanza climatica va in misure di adattamento, mentre il 59% in azioni di mitigazione. L’adattamento serve ai paesi destinatari, la mitigazione ai paesi donatori.
Una situazione che non fa ben sperare per il destino dei target di climate finance post 2025, di cui si inizierà presto a discutere. E nemmeno per i negoziati, in corso, sul nuovo fondo per le perdite e i danni creato alla Cop27 l’anno scorso. “In linea con il principio “chi inquina paga”, dovrebbero essere sviluppate come fonti di finanziamento innovative opzioni quali un’imposta sulle emissioni del trasporto marittimo, tasse sul patrimonio o un’imposta sui profitti dei combustibili fossili in eccesso”, sostiene Oxfam.