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Anche l’oil&gas deve fare la sua parte: la posizione UE sulla finanza climatica alla Cop29

Finanza climatica Cop29, l’UE: anche l’oil&gas deve pagare

Foto di Markus Spiske su Unsplash

Finanza climatica Cop29, l’UE: anche l’oil&gas deve pagare
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Il Consiglio Esteri ha formalizzato la posizione UE sulla diplomazia verde

(Rinnovabili.it) – Al prossimo vertice sul clima a Baku, l’Europa chiederà che le compagnie fossili e grandi inquinatori come la Cina e alcuni paesi mediorientali contribuiscano ai finanziamenti globali per contrastare la crisi climatica. Se la richiesta a Pechino e ai petrolstati come Arabia Saudita e Qatar era già stata avanzata l’anno scorso alla Cop28 di Dubai, l’inclusione tra i donatori delle aziende dell’oil&gas è una novità nella postura UE sulla finanza climatica alla Cop29.

Finanza climatica, alla Cop29 l’UE mette l’oil&gas nel mirino

Novità che è stata messa nero su bianco il 18 marzo dai ministri degli Esteri europei nelle conclusioni della riunione sulla “diplomazia verde”. Cosa chiederà di preciso l’Europa a Baku? I Ventisette vogliono “ulteriori, nuove e innovative fonti di finanziamento” per il clima, nell’ambito del New Collective Quantified Goal on Climate Finance (NCQG), cioè la quantità di risorse che i paesi più sviluppati si impegnano a mettere a disposizione ogni anno a favore dei paesi più vulnerabili per azioni di mitigazione e adattamento alla crisi climatica.

Il primo obiettivo, stabilito nel 2009, era fissato a 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020, ed è stato raggiunto solo l’anno scorso. Il nuovo target, con orizzonte 2030, dev’essere necessariamente pattuito alla Cop29 di quest’anno. Per questa ragione, la finanza climatica alla Cop29 sarà la vera protagonista. I negoziati finora hanno riguardato soprattutto due punti: l’ammontare totale, con cifre suggerite che vanno dai 1.000 ai 2.400 mld $ l’anno, e la definizione dei paesi che devono contribuire e di quelli titolati a ricevere i fondi.

Per mobilitare una simile quantità di risorse, l’UE riconosce che “le fonti convenzionali di finanziamento pubblico da sole non possono fornire la quantità necessaria per il nuovo obiettivo”. Servono finanziamenti “da un’ampia varietà di fonti, compreso il settore dei combustibili fossili e altri settori ad alte emissioni settori, da identificare e utilizzare per fornire finanziamenti per il clima, anche per sostenere i paesi e le comunità più poveri e più vulnerabili dal punto di vista climatico, nella mitigazione e nello sviluppo della resilienza contro i cambiamenti climatici”, si legge nel documento del Consiglio.

Il passaggio su Cina e petrolstati è più sfumato ma non meno dirompente. “Il Consiglio invita tutti i partner, di tutte le regioni, in base alle loro capacità finanziarie e compresi quelli che vanno oltre la tradizionale base di fornitori di finanziamenti per lo sviluppo, ad ampliare il loro sostegno all’adattamento climatico e alle modalità di finanziamento per rispondere alle perdite e ai danni, anche per il fondo”, recita il documento riferendosi anche al Fondo Loss & Damage reso operativo l’anno scorso a Dubai.

Una posizione che ha già trovato l’opposizione della Cina, che ai fini UNFCCC – l’architettura ONU che gestisce i negoziati sul clima – è ancora classificata, come negli anni ’90, come paese in via di sviluppo. Pechino sostiene che, al massimo, il suo può essere un contributo volontario. Mentre i petrolstati schivano accuratamente la questione.

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