Oltre il 60% dei fondi Esg sustainability-related non rispetta i requisiti anti-greenwashing
I nuovi requisiti dell’ESMA possono provocare un terremoto tra gli operatori finanziari in Europa. Le linee guida contro il rischio greenwashing nella finanza pubblicate a maggio potrebbero costringere circa il 60% dei fondi con denominazioni legate alla sfera della sostenibilità a cambiare nome o a dismettere gli asset non in linea. In questo secondo caso, i movimenti innescati dall’ESMA potrebbero spostare un volume di investimenti per 40 miliardi di euro.
1.600 fondi a rischio greenwashing in Europa
È la stima di Morningstar basata sull’analisi di un campione di 4.300 fondi con denominazioni Esg sustainability-related. Una stima parziale, dato che solo 2.500 di essi fornisce informazioni sufficienti sulle partecipazioni azionarie sottostanti. Su questa platea ristretta, sarebbero oltre 1.600 i fondi nel cui portafoglio è presente almeno un’azienda che non rispetta le nuove regole di esclusione del Climate Transition Benchmark (CTB) e del Paris-Aligned Benchmark (PAB). Di recente, Clarity AI aveva stimato che il rischio greenwashing riguardasse il 44% dei fondi.
“A causa della natura rigorosa delle esclusioni PAB, prevediamo che molti fondi elimineranno il termine “ESG” e i termini correlati dai loro nomi, mentre alcuni verranno riposizionati come fondi di transizione, ai quali si applicano le esclusioni CTB meno restrittive, a condizione che possano dimostrare una chiara e percorso di transizione misurabile”, prevedono gli analisti di Morningstar.
L’ESMA ha poi stabilito, per i fondi il cui nome contiene la parola chiave “sostenibile”, che dovranno investire “in modo significativo” in investimenti ritenuti sostenibili. Se la soglia minima per un’allocazione “significativa” fosse fissata al 30%, calcola Morningstar, “nella migliore delle ipotesi, solo il 56% dei fondi” riuscirebbe a mantenere il nome attuale e quindi a non disinvestire.
I settori più colpiti dai potenziali disinvestimenti? Energia (40% del totale), industria (soprattutto difesa e ferrovie, 26%) e materie prime (12%). A livello di paese, quelli più colpiti sarebbero Stati Uniti, Francia e Cina, considerando il criterio del valore di mercato, ma Cina, Stati Uniti e India in termini di numero di aziende. I titoli più colpiti includerebbero TotalEnergies, Tencent Holdings e Shell.