I ricercatori hanno testato sul Messico e sugli uragani il nuovo modello sul rischio fisico ESG
I principali modelli che le imprese usano per valutare l’esposizione al rischio fisico ESG sottostimano gli impatti della crisi climatica del 70%. Il problema? Le griglie per il risk assessment sono poco granulari. Si basano su proxy, indicatori “indiretti” che non fotografano adeguatamente la situazione reale. E tendono a separare rischi cronici da rischi acuti. Sviluppare metodi e criteri di stima più accurati è quindi cruciale per evitare perdite rilevanti per aziende e investitori. Lo afferma uno studio condotto dall’Institute for Ecologica Economics dell’università di Vienna e dall’università di Zurigo, e pubblicato su Nature Communications.
Un nuovo modello per valutare il rischio fisico ESG
I ricercatori hanno messo a punto un nuovo metodo di valutazione del rischio fisico ESG che si basa su informazioni dettagliate e puntuali su localizzazione e caratteristiche degli asset fisici di un’azienda, dagli stabilimenti produttivi ai macchinari fino alle risorse naturali impiegate nei processi.
Indicatori diretti, quindi, e più precisi di quelli su cui sono costruiti i modelli attuali. I quali, spesso, semplificano il quadro assumendo che tutti gli asset abbiano lo stesso livello di rischio fisico della sede centrale.
Il nuovo modello è costruito per valutare il rischio fisico, sia acuto che cronico, a una specifica categoria di pericoli, gli uragani, e si basa sugli scenari sviluppati dall’IPCC (integrando così nella valutazione la riduzione prevista nel tempo di ritorno degli eventi estremi). I ricercatori lo hanno testato sul Messico, un paese altamente esposto a rischi fisici, destinatario di finanziamenti per l’adattamento e di investimenti esteri, prendendo come base di riferimento 177 aziende a cui fanno riferimento oltre 1.800 asset fisici.
“Abbiamo dimostrato che le perdite degli investitori vengono sottostimate fino al 70% quando si trascurano le informazioni a livello di asset, e fino all’82% quando si trascurano i rischi acuti”, affermano gli autori.
“La nostra analisi ha importanti implicazioni per diversi tipi di decisori nel settore della finanza climatica”, puntualizzano, suggerendo che il modello messo a punto nello studio corrisponda alla richiesta formulata dalla Strategia europea per l’adattamento climatico di “tradurre grandi volumi di informazioni climatiche in strumenti personalizzati e di facile utilizzo”. Ma è utile anche come supporto ai regolatori finanziari e alle autorità di vigilanza per valutare meglio l’impatto dei rischi fisici ESG sulle economie nazionali, sul rischio sovrano e sulle modifiche necessarie nelle risposte finanziarie e normative.
Leggi anche I modelli delle banche per la valutazione del rischio climatico sono “irrealistici”