Quali sono le novità in materia di reportistica ESG? Cosa stabiliscono i provvedimenti europei e quali sono le scadenze da rispettare? I dettagli della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e della Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD)
Le imprese italiane soggette ai nuovi obblighi di reportistica ESG sono oltre 4.000
Per andare verso un sistema economico-finanziario sempre più sostenibile, negli ultimi anni l’Unione Europea ha approvato dei provvedimenti che impongono nuovi obblighi per la reportistica ESG ad imprese e operatori finanziari. I cambiamenti della normativa in vigore finora sono molti, dall’ampliamento della platea dei soggetti coinvolti al rinnovamento degli standard di reporting da seguire.
Quali sono le novità in materia di reportistica ESG? Cosa prevedono i provvedimenti europei e quali sono le scadenze da rispettare? Le direttive UE che modificano il panorama degli standard Environment, Social, Governance sono principalmente due:
la Corporate Sustainability Reporting Directive (Direttiva CSRD), e gli atti delegati che ne specificano l’ambito di applicazione;
la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (Direttiva CSDDD).
Direttiva CSRD, i nuovi obblighi per la reportistica ESG
La Direttiva Europea 2022/2464 riguarda la rendicontazione societaria di sostenibilità e modifica la normativa precedente (Direttiva 2013/34 UE). Gli aspetti innovativi più rilevanti sono tre: l’obbligo di reporting riguarda un numero molto maggiore di società, viene introdotto il concetto di doppia materialità, vengono aggiornati gli standard da seguire per la rendicontazione.
Chi è soggetto ai nuovi obblighi di reportistica ESG?
Secondo la Non-Financial Reporting Directive del 2013, le imprese soggette al reporting ESG in tutta Europa erano circa 11.700. L’entrata in vigore della CSRD allarga la platea dei soggetti a circa 49.000, di cui circa 4.000 in Italia. Sono tre i profili tenuti a rispettare la nuova normativa:
- grandi imprese non quotate, che rispettino almeno due criteri tra: numero medio di dipendenti di almeno 250, stato patrimoniale pari o superiore a 25 mln euro, ricavi netti sopra i 50 mln euro. Finora, in Italia (d.lgs. 254 del 2016 che recepiva la direttiva del 2013), l’obbligo di reporting ESG scattava sopra i 500 dipendenti, stato patrimoniale oltre i 20 mln e ricavi netti oltre i 40 mln;
- piccole e medie imprese quotate, inclusi gli istituti di credito non complessi e le imprese di assicurazioni che fanno parte di un gruppo, ma escluse le micro-imprese. Finora questi soggetti erano esclusi dagli obblighi di reportistica ESG;
- imprese figlie e succursali di aziende extra-UE, la cui capogruppo abbia almeno 150 mln euro di ricavi netti negli ultimi 2 anni d’esercizio, e se rispetta almeno un criterio tra: dimensioni in linea con i nuovi requisiti della CSRD, o ricavi netti superiori a 40 mln euro.
Doppia materialità (o doppia rilevanza)
La Direttiva CSRD introduce il principio della doppia materialità o doppia rilevanza tra i nuovi obblighi di reportistica ESG. Le imprese sono tenute a fornire informazioni di sostenibilità bidirezionali, ovvero sia sull’impatto delle proprie attività su persone e ambiente (approccio inside-out) sia su come le proprie attività e risultati sono influenzati dai fattori di sostenibilità (approccio outside-in).
Un aspetto importante è che l’analisi di materialità si dovrà estendere all’intera catena del valore, sia a monte che a valle, considerando impatti materiali, rischi e opportunità. Questo punto è rafforzato dagli obblighi in materia previsti dalla CSDDD sulle attività di due diligence.
Ci sono poi altri aspetti della CSRD che impattano sulla reportistica ESG in modo importante. Tra cui nuovi requisiti di trasparenza, con l’obbligo di disclosure sul ruolo specifico degli organi di amministrazione, gestione e controllo rispetto a tutte le questioni riguardanti la sostenibilità, ma anche l’obbligo di prevedere forme di incentivazione per chi esercita la governance collegate al raggiungimento degli obiettivi ESG definiti dall’impresa.
Standard aggiornati
Finora l’UE ha rilasciato solo il primo atto delegato contenente gli standard generali per la nuova reportistica ESG. Manca, invece, il secondo atto delegato che conterrà i principi specifici per settore. In origine, questa seconda tranche era prevista per il 30 giugno 2024, ma la direttiva 2024/1306 del 29 aprile 2024 l’ha posticipata di 2 anni al 30 giugno 2026. La Commissione userà questo periodo per razionalizzare e semplificare gli obblighi settoriali (del 25%), sollevando le imprese da un carico burocratico eccessivo.
Per quanto riguarda gli obblighi generali, già approvati, l’UE ha adottato l’ESRS (European Sustainability Reporting Standard), ovvero uno standard unico per tutti i Ventisette. Sono comunque previste dei requisiti specifici per le PMI in ragione delle loro particolarità. L’ESRS è strutturato in 12 standard “agnostici rispetto al settore”, suddivisi a loro volta in 4 cluster:
- standard trasversali (requisiti e informative generali);
- standard ambientali (relativi a cambiamento climatico, inquinamento, risorse idriche e marine, biodiversità ed ecosistemi, risorse e circolarità);
- standard sociali (forza lavoro propria e impiegata lungo la value chain, comunità interessate, clienti e utenti finali);
- standard di governance (condotta aziendale).
Sul fronte dell’assurance, la revisione da terze parti della presentazione della reportistica ESG, la CSRD introduce un obbligo che non aggiunge ulteriori oneri ai soggetti italiani. Recependo la direttiva del 2013, infatti, l’Italia aveva già reso obbligatoria dal 2016 l’assurance.
Quando scattano i nuovi obblighi di reporting ESG?
La CSRD prevede un’entrata in vigore a scaglioni dei diversi obblighi introdotti. Nel 2024 sono coinvolti unicamente gli enti di interesse pubblico che rientrano nei parametri della direttiva, i quali dovranno effettuare il nuovo reporting nel 2025 sull’anno fiscale 2024. Nel 2025 scatterà l’obbligo per le grandi imprese non quotate, mentre nel 2026 sarà la volta delle PMI e di tutti gli altri soggetti. Piccole e medie imprese, però, potranno chiedere un ulteriore posticipo di 2 anni, al 2028, motivandone la ragione.
Da notare che la CSRD dev’essere recepita dai paesi UE entro il 6 luglio 2024. L’Italia non ha ancora ultimato questo processo ed è in corso una consultazione pubblica.
Come cambia la due diligence con la CSDDD?
La nuova direttiva sulla due diligence – a cui manca soltanto l’ultimo passaggio formale, con l’approvazione del Consiglio – amplierà ulteriormente gli obblighi previsti dalla CSRD, in particolare per quanto riguarda la corporate governance. I due provvedimenti sono strettamente intrecciati tra loro, oltre che con le disposizioni della tassonomia UE sugli investimenti sostenibili.
La CSDDD riguarda la due diligence sugli impatti delle attività delle imprese su diritti umani e ambiente e si struttura attorno a due nuclei principali. Da un lato, richiede di valutare lo stato attuale, prevenire, eliminare o almeno ridurre tutti gli impatti negativi, effettivi e potenziali, in questi due ambiti e lungo la catena del valore, introducendone una valutazione nelle policy di gestione del rischio. Dall’altro lato, introduce l’obbligo per le imprese di dotarsi di un piano industriale di transizione compatibile con una traiettoria verso 1,5°C di riscaldamento globale.
La direttiva prevede che ogni stato si doti di un’autorità di controllo che monitori il rispetto della normativa. A tale autorità, le imprese interessate dovranno inviare periodicamente aggiornamenti. In caso di mancata compliance, possono scattare sanzioni fino al 5% del fatturato generato a livello globale.
Chi è soggetto alla CSDDD?
Le nuove regole varranno per tutte le aziende europee e per le case madri con più di 500 dipendenti e un fatturato globale superiore a 150 milioni di euro, a prescindere dal settore in cui operano. La due diligence aziendale scatta anche per le grandi imprese con almeno 250 dipendenti e, congiuntamente, un fatturato oltre i 40 milioni di euro qualora metà del fatturato sia generato in una lista di settori considerati particolarmente vulnerabili (tra cui tessile, abbigliamento, agricoltura e foreste, trasformazione di alimenti, estrazione e commercio di risorse minerarie). Le imprese non basate in UE saranno tenute a rispettare la direttiva se il loro fatturato generato in Europa supera i 300 milioni.