La CSRD riguarderà circa 50.000 aziende europee, di cui oltre 4.000 in Italia
La maggior parte delle imprese ritiene di essere pronta a rispettare i nuovi obblighi per la reportistica ESG introdotti con la CSRD, la direttiva UE sul corporate sustainability reporting. Ma molte aziende, a 6 mesi dall’entrata in vigore, devono ancora svolgere attività essenziali per ottemperare alla normativa. Se, da un lato, c’è ottimismo – e si ritiene che le nuove regole in materia di sostenibilità faranno bene al proprio business – dall’altro lato non mancano problemi nell’implementazione dei requisiti.
I problemi più comuni per le imprese nell’implementazione della CSRD
Quasi due terzi (il 63%) delle 500 aziende sondate da PwC nel primo rapporto globale sullo stato di attuazione della direttiva CSRD sono “molto” o “estremamente” fiduciose di essere pronti a rendicontare secondo i dettami della nuova normativa europea. Sono ancora più fiduciose (il 72%) le aziende per cui l’obbligo scatta già tra 6 mesi.
Ma proprio queste imprese sono quelle che, nei fatti, devono ancora ultimare dei passaggi fondamentali per essere in grado di produrre la reportistica necessaria. Meno della metà, infatti, ha confermato le opzioni di reporting (lo ha fatto solo il 39%), ha prodotto la valutazione sulla doppia materialità (il 38%), e ha convalidato la disponibilità dei dati (il 20%). In più, quasi 1 impresa su 3 non ha messo in campo delle policy e dei sistemi di controllo aggiornati e più di 1 su 4 non ha svolto un’analisi comparata della tassonomia UE.
La valutazione della doppia materialità degli impatti, dei rischi e delle opportunità (IRO) è il meccanismo attraverso il quale le aziende determinano quali aspetti della sostenibilità sono materiali per la loro attività e per le parti interessate e, pertanto, devono essere inclusi nei loro report CSRD. In pratica è la base di partenza con cui un’azienda stabilisce (con una discrezionalità piuttosto elevata) di quali dati ha bisogno per rispettare la direttiva CSRD.
PwC nota che la percentuale di imprese che pianificava di effettuare il reporting su oltre 100 IRO si è dimezzata una volta condotta la valutazione di doppia materialità, mentre è raddoppiata quella delle aziende che pianificano di calibrare la reportistica ESG su meno di 20 IRO.
Dati, supply chain e staff adeguato
Quali sono le criticità più comuni riscontrate dalle aziende per adeguarsi alla direttiva CSRD? Dal sondaggio di PwC, a livello macro emergono problemi legati:
- alla disponibilità e alla qualità dei dati (nel 59% dei casi),
- alla complessità della catena del valore (per il 57% delle imprese), e
- alla capacità del personale (per il 50% delle imprese).
Se si scava più nel dettaglio, l’immagine di una fiducia diffusa nel riuscire a rispettare i nuovi requisiti si incrina ancora di più. Questo sentimento, infatti, riguarda soprattutto quegli aspetti che erano già presenti nel reporting ESG precedente, ad esempio rispetto a temi come la forza lavoro e il cambiamento climatico. Ben meno fiducia, invece, viene espressa circa i nuovi ambiti come la biodiversità, la dimensione circolare, l’inquinamento e la forza lavoro lungo l’intera catena del valore.
Serve una strategia dati centralizzata
Quello della disponibilità dei dati è un elemento cruciale. L’ampiezza e la profondità del reporting richiesto dalla direttiva CSRD rappresentano “una sfida enorme”, sottolinea PwC. Molte delle informazioni richieste “non esistono oggi nella pianificazione delle risorse aziendali” o in altri sistemi centralizzati.
Questo significa che devono essere recuperati manualmente da fogli di calcolo e dai documenti originali, come le fatture. “Questa è la ricetta per processi inefficienti e soggetti a errori, a meno che le aziende non prestino molta attenzione ai fondamenti della strategia dei dati: il modo in cui i dati sulla sostenibilità vengono definiti, reperiti, governati ed elaborati”, sottolinea il rapporto.
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