Il General Manager di Vestas Italia, Francesco Amati, ci racconta le promettenti prospettive del settore eolico e il suo ruolo nella transizione energetica, lo spostamento verso potenze sempre maggiori e le diversità del mercato dell’onshore e offshore, ma attenzione alla burocrazia e ai ritardi nei decreti
di Mauro Spagnolo
In Italia il settore eolico continua a crescere, anche se a fasi alterne e tra problematiche di varia natura, ma rimane la spinta principale nel percorso della transizione energetica. Abbiamo voluto fare il punto sulla situazione con Francesco Amati, General Manager di Vestas Italia, la multinazionale danese leader mondiale del settore.
Francesco Amati, partiamo dalle strategie che state attuando sul mercato italiano per posizionare al meglio il vostro brand.
Vestas vanta una presenza storica in Italia essendo presente da più di 25 anni attraversando tutti i sistemi incentivanti dal CIP 6 ai Certificati Verdi, dal Decreto 2012 alle prime aste del 2016 per arrivare all’ultimo Decreto 2019 passando attraverso tutta la recente vita energetica di questo paese. Una strategia che sostanzialmente mira a mantenere il nostro primato sul mercato mondiale e, sicuramente, in quello italiano.
In questi anni abbiamo fatto crescere il nostro personale, eravamo 90 adesso siamo 1500, focalizzandoci sostanzialmente su due aree di intervento: la prima è la nostra fabbrica a Taranto che produce pale per turbine da 3-4 megawatt e, in prospettiva, pale per la turbina da 15 megawatt V236 per il mercato offshore che a breve sarà messa in operatività.
Di quali dimensioni parliamo?
Ogni pala sarà di circa 115 metri di lunghezza e monolitica. Potete quindi immaginarvi i problemi non indifferenti da risolvere dal punto di vista logistico sia nella produzione che nel trasporto.
Riferendoci al mercato italiano, quale potenza installata può vantare Vestas rispetto al complessivo parco eolico nazionale?
Noi abbiamo attualmente circa la metà delle installazioni. Su 12 gigawatt di installato, noi copriamo 5-6 gigawatt di eolico nazionale, ed il nostro impegno è far crescere questa quota contribuendo in modo ancora più sostanziale alla transizione energetica di questo paese. Vorremmo poi implementare l’attività di repowering che ci vede coinvolti già da qualche anno con qualche grande operatore con la sostituzione delle turbine di vecchia tecnologia installate da ormai 20-25 anni con turbine onshore di nuova tecnologia che hanno rotori dai 136, 150, 162 e addirittura 172 metri di diametro.
In termini concreti e di mercato, cosa significa questa evoluzione della tecnologia?
Fino a qualche tempo fa avevamo la classe 2 megawatt, 3-4 megawatt, e 6 megawatt, Oggi il mercato si sposta verso potenze sempre più grandi perché la tendenza del cliente, per motivi di impatto ambientale, è quella di ridurre il numero delle installazioni grazie ad un aumento di efficienza e di potenza degli impianti. Pensi che oggi è possibile installare tecnologie che, quasi a parità di occupazione di spazio, producono il doppio o addirittura il triplo dell’energia. Quindi il mercato si sposta anche in Italia verso 4 – 4.5 megawatt e poi sui 6-7 megawatt, queste sono le due aree di intervento da un punto di vista tecnologico.
Per il breve e medio termine la nostra priorità è sicuramente coprire ancor di più il mercato onshore. Questa è per noi la priorità attuale.
E se volessimo individuare le percentuali al vostro fatturato fra greenfield e repowering?
Diciamo che il repowering impegna circa il 30% delle nostre attività, il resto è greenfield. Però questo dipende ovviamente da quello che ci attende nei prossimi anni. Mi spiego meglio: stanno uscendo fuori incentivo tanti megawatt le cui installazioni sono state fatte più di venti anni fa. Poi dipende dalla scelta del cliente mantenere il prodotto attuale, anche senza incentivo in quanto i certificati verdi stanno andando gradualmente in esaurimento, o investire su macchine più efficienti. Quindi il nostro mercato si sta dividendo, sempre più marcatamente, in due categorie di stakeholder: chi decide di continuare a fare business con l’attuale tecnologia e chi preferisce investire nel futuro.
Nel repowering, cosa si può mantenere dell’impianto preesistente?
Non molto, il plinto e tutta la sovrastruttura vanno chiaramente riprogettati in funzione dei nuovi dimensionamenti e sollecitazioni. A volte, ma non sempre, si può conservare la parte dei cavidotti se ancora compatibile con la nuova potenza installata. Si conserva la connessione alla rete e, chiaramente, l’autorizzazione.
Secondo lei, nella corsa alla transizione energetica, il grande eolico continuerà anche nei prossimi anni a mantenere la supremazia rispetto al fotovoltaico?
Direi di si. Ma dipende da alcune condizioni essenziali. Per vincere la partita della transizione energetica occorrono regole chiare, ma in questo momento non esistono o almeno non completamente.
Da quali punti di vista?
Regole di gioco per il segmento onshore, per il quale rimaniamo in attesa del nuovo decreto che il mercato sta attendendo con apprensione, e regole di gioco per l’offshore, che a medio e lungo termine sarà una fetta di mercato molto importante per noi operatori. Ma anche in questo segmento attendiamo il famoso Fer2 da tanto tempo. Queste incertezze normative possono spaventare anche gli investitori stranieri che, chiaramente, hanno bisogno di capire con esattezza le regole del contesto in cui impegnano il loro capitale.
Lei citava il tema della complessità nella logistica. Immagino le difficoltà del trasporto di una pala monolitica di decine e decine di metri fino alla destinazione finale…
In effetti la difficoltà operativa, ed il relativo ottenimento dei permessi logistici, è per noi un problema molto importante. Le turbine stanno diventando sempre più grandi e la trasportabilità delle pale è più complessa, ma quasi mai impossibile in quanto disponiamo della tecnologia che ci aiuta. A volte però avremmo bisogno di una sensibilità maggiore per l’ottenimento dei permessi per la logistica dei trasporti. Occorre maggior efficienza nella portualità, che deve accogliere queste grandi strutture, e maggior efficienza nella viabilità su terra per velocizzare i permessi di modificare, se occorre, le strade che poi ovviamente ripristiniamo.
Ecco porti, strade, ponti: bisognerebbe riuscire a fare sistema per raggiungere più velocemente il comune obiettivo della transizione energetica.