Per i deputati della Commissione Ambiente di Strasburgo, l'Unione europea deve applicare una carbon tax di frontiera come strumento per aumentare l'ambizione climatica globale e prevenire la "rilocalizzazione delle emissioni di carbonio". Ma facendo attenzione a non scadere nel protezionismo
(Rinnovabili.it) – Sì ad una tassa sulla CO2 delle importazioni, che permetta all’Unione europea di alzare i prezzi dei prodotti provenienti da paesi meno attenti al clima. Ma perseguendo una precisa politica ambientale che ponga tutti gli attori sullo stesso piano. Questa la posizione dei deputati europei della Commissione ambiente. Gli europarlamentari hanno votato oggi una risoluzione sul nuovo meccanismo UE di adeguamento del carbonio alle frontiere (Carbon Border Adjustment Mechanism – CBAM), uno degli strumenti climatici proposti da Green Deal di von der Leyen.
L’esecutivo UE sta finalizzando in questi giorni la sua proposta di direttiva sul tema ma, fin dai primi vaghi annunci, la questione ha creato un gran dibattito. L’idea di base è semplice. L’Europa ha impostato un percorso di decarbonizzazione che comporta una serie di obiettivi emissivi ed energetici. Ma gli sforzi per divenire neutrali entro il 2050, spiega Bruxelles, “potrebbero essere compromessi dalla mancanza di ambizione dei nostri partner internazionali. Ciò comporterebbe un rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio”. Si tratta, in realtà, di un fenomeno ben noto e ampiamente documentato: l’UE alza i propri vincoli ambientali e le aziende che non vogliono soldi per adeguarsi, trasferiscono la produzione in Paesi meno rigidi. In altre parole, le emissioni associate ad un certo bene o servizio, vengono semplicemente spostate altrove. Ma la somma globale non cambia.
Per contrastare questo processo, sono in molti, esecutivo UE compreso, a sostenere l’applicazione di una carbon border tax, ossia una tassa sulla CO2 delle importazioni. Il testo della direttiva comunitaria deve ancora vedere la luce – l’adozione della proposta dovrebbe avvenire nel primo trimestre 2021 – ma Cina e Russia hanno già manifestato il proprio dissenso.
La posizione della Commissione Ambiente dell’Europarlamento
In attesa di conoscerne il contenuto, i parlamentari della Commissione Envi hanno approvato con 58 voti favorevoli, 8 contrari e 10 astensioni, una risoluzione riguardante il futuro meccanismo di tassazione. L’atto sottolinea che l’applicazione di una tassa sulla CO2 delle importazioni sia uno strumento necessario per evitare il fenomeno di riallocazione delle emissioni. Il meccanismo dovrà essere compatibile con l’Organizzazione mondiale del commercio e ovviamente riguardare solo determinati beni provenienti da paesi “non abbastanza ambiziosi” nella lotta climatica. I deputati hanno anche sottolineato che il sistema debba essere concepito con l’unico scopo di perseguire obiettivi climatici e condizioni di parità a livello mondiale, e non essere utilizzato impropriamente come strumento per rafforzare il protezionismo.
È parere condiviso, inoltre, che il CBAM venga collegato ad una riforma del sistema di scambio delle emissioni (ETS) e al prezzo delle quote in questo mercato. Gli europarlamentari sostengono che il nuovo meccanismo debba far parte di una più ampia strategia industriale dell’UE, coprendo tutte le importazioni di prodotti e materie prime nell’ambito dell’ETS comunitario. E, aggiungono, entro il 2023 dovrebbe interessare il settore elettrico e i settori industriali ad alta intensità energetica come cemento, acciaio, alluminio, raffineria di petrolio, carta, vetro, prodotti chimici e fertilizzanti, che continuano a ricevere consistenti quote gratuite.
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“Il meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere è un’enorme opportunità per conciliare clima, territori, industria, occupazione, resilienza, sovranità e delocalizzazione”, spiega il relatore Yannick Jadot (Verdi / ALE). “Si tratta di un importante test politico e democratico per l’Unione europea, che deve porre fine a una certa ingenuità”. Imponendo lo stesso prezzo del carbonio sia ai prodotti fabbricati all’interno che all’esterno dell’Unione, secondo Jadot è possibile stimolare anche i settori più inquinanti a far la loro parte.