Nuovi dettagli sulla seconda fase della tassa sulla CO2 alla frontiera
(Rinnovabili.it) – La tassa sulla CO2 alla frontiera a cui sta lavorando l’UE non piace a nessuno? E Bruxelles decide di raddoppiare. Dopo il 2030, il meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera (CBAM) inizierà a coprire nuovi settori. Non più soltanto quelli di “base”, materie prime ad alta intensità di carbonio come l’acciaio. La coperta si allunga nel downstream ai prodotti finiti.
Lo ha rivelato Gerassimos Thomas, direttore generale del dipartimento fiscale della Commissione europea, la settimana scorsa durante un’audizione al parlamento europeo. Pochissimi i dettagli forniti dal funzionario. Per il momento si sa solo che nel mirino di Bruxelles finiranno soltanto quei settori che sono realmente a rischio carbon leakage, cioè che potrebbero subire una delocalizzazione delle industrie europee all’estero per sfuggire agli obblighi emissivi. E per ogni singolo nuovo settore, l’esecutivo UE procederà a un esame attento dei flussi commerciali, del valore delle merci e del peso sulle aziende del surplus di burocrazia per gli importatori che deriva dal dover pagare la tassa sulla Co2 alla frontiera.
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Quali possono essere i settori coinvolti in futuro? La Commissione non ne fa cenno, ma qualche idea ce la si può iniziare a fare confrontando quelli coperti già nella prima fase della tassa sulla CO2 alla frontiera con l’ultima versione aggiornata della lista dei settori considerati a rischio carbon leakage dall’UE. Ceramica, prodotti siderurgici, ma anche merci ad alto valore aggiunto che contengono acciaio potrebbero essere i principali indiziati. Sarà interessante vedere se Bruxelles approfitterà del CBAM per aggiungere altra pressione anche sull’industria automobilistica.
Il testo provvisorio del provvedimento, reso noto dalla Commissione il 14 luglio scorso, mette nella lista soltanto ferro, acciaio, cemento, fertilizzanti, alluminio e generazione elettrica. Per queste merci, dal 2023 alla fine del 2025 sarà attivo un periodo di transizione. Chi le vuole importare nell’UE dovrà dichiarare entro il 31 maggio di ogni anno la quantità di prodotti importati e le emissioni incorporate per l’intero volume di import relativi all’anno precedente. Dal 2026 parte l’obbligo di acquistare i permessi per coprire la CO2 importata, in un sistema di quote simile a quello dell’ETS (a cui faranno riferimento i prezzi delle quote CBAM).
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