Rinnovabili

Una tassa globale sulle fossili per rendere più giusta la transizione

Tassa globale sulle fossili: vale 900 mld $ entro il 2030
via depositphotos.com

180 mld $ della tassa globale sulle fossili finanzierebbero la just transition nei paesi più ricchi

Tassare l’estrazione nazionale di petrolio, gas e carbone nei paesi OCSE per finanziare l’adattamento alla crisi climatica nei paesi più vulnerabili e proteggere le fasce più povere della popolazione nelle economie avanzate. Una soluzione che può raccogliere 900 miliardi di dollari per la finanza climatica entro il 2030. Rimpinguando le casse del fondo Loss & Damage, oggi ancora praticamente vuote. E iniettare risorse per rendere più socialmente sostenibile la transizione nei paesi ricchi. È questa tassa globale sulle fossili la via migliore per affrontare il dossier della finanza per il clima, che sarà il dossier principale alla Cop29 di Baku quest’anno.

Lo sostiene il rapporto “The Climate Damages Tax” rilasciato oggi da oltre 100 organizzazioni ambientaliste e della società civile, tra cui Greenpeace, Stamp Out Poverty, Power Shift Africa, Christian Aid e Climate Action Network.

Come funzionerebbe una tassa globale sulle fossili?

L’idea consiste nell’introdurre subito una tassa sul carbonio incorporato dell’estrazione di idrocarburi e carbone effettuata nei paesi con le economie più avanzate. Dal valore iniziale di 5 dollari per ogni tonnellata di CO2 equivalente, la tassa crescerebbe in modo progressivo di 5 $ l’anno. E la sua gestione potrebbe essere facilmente integrata nel sistema di royalties esistente dovute dalle compagnie fossili agli stati.

In questo modo, calcola il rapporto, sarebbe possibile raccogliere 900 mld $ entro il 2030. L’80% di queste risorse potrebbe essere destinato al fondo Loss & Damage. Anche se è stato lanciato ufficialmente alla Cop28 di Dubai l’anno scorso, finora pochi stati hanno promesso di contribuire al fondo. Le risorse virtualmente disponibili non superano i 700 milioni di dollari, pari a meno dello 0,2% delle perdite irreversibili, economiche e non economiche, che i paesi in via di sviluppo subiscono ogni anno a causa del riscaldamento globale.

Questi 720 mld $ non riuscirebbero a coprire tutte le necessità per l’adattamento dei paesi più vulnerabili ma ne garantirebbero una buona parte. Per avere un termine di paragone, suggerisce il rapporto, la cifra basterebbe per finanziare più di 1.300 volte la ricostruzione e il recupero dai danni causati dal ciclone Freddy, che nel 2023 ha provocato lo sfollamento di oltre mezzo milione di persone nell’Africa meridionale.

L’altra quota, pari al 20% (180 mld $) sarebbe invece resa disponibile come “dividendo interno” per supportare la transizione nei paesi più ricchi. Una cifra che andrebbe a vantaggio delle fasce di popolazione più svantaggiate dalla transizione e potrebbe rendere credibili strumenti come il Fondo Sociale per il Clima, varato dall’UE nel pacchetto Fit for 55.

“Oltre a generare i fondi tanto necessari per aiutare i paesi meno responsabili della crisi climatica a far fronte ai costi, la tassa contribuirebbe ad accelerare l’eliminazione dei combustibili fossili rendendone la produzione più costosa aumentando progressivamente ogni anno l’aliquota fiscale proposta”, spiega il rapporto. “Allo stesso modo, il dividendo interno proposto garantirebbe che anche i lavoratori e le comunità dei paesi sviluppati traggano benefici dalla tassa per garantire una giusta transizione verso le energie rinnovabili e altre infrastrutture verdi”.

Il rapporto sulla tassa globale sulle fossili “dimostra che i fondi ci sono” e che “i paesi più ricchi ed economicamente più potenti, con la maggiore responsabilità storica per il cambiamento climatico, non hanno bisogno di guardare oltre le loro industrie di combustibili fossili per raccogliere decine di miliardi all’anno in più tassandole in modo molto più rigoroso”, commenta David Hillman, direttore di Stamp Out Poverty e co-autore del rapporto.

Exit mobile version