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Cosa non quadra nella valutazione del rischio climatico

Rischio climatico: così aziende e finanza possono barare
Foto di Nattanan Kanchanaprat da Pixabay

Così le aziende e la finanza possono barare sul rischio climatico

(Rinnovabili.it) – Valutare il rischio climatico per aziende e finanza è meno semplice di quanto può sembrare. Con l’aumento della consapevolezza sul cambiamento climatico e delle pressioni internazionali, sempre più aziende sono incentivate a includere nei processi decisionali e nella rendicontazione quei rischi che possono derivare da eventi climatici estremi e, più in generale, dagli effetti del riscaldamento globale.

Ma come viene incorporato il rischio climatico? Un articolo scientifico pubblicato su Nature Climate Change mette in guardia, meglio non cedere troppo in fretta all’ottimismo. “Colpa”, se così si può dire, dei modelli climatici predittivi. Cioè di quei complessi costrutti teorici con cui gli scienziati del clima stimano le condizioni future del pianeta in base ai dati odierni e alle serie storiche.

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La scienza del clima e il business lavorano su scale temporali diverse. I modelli climatici hanno orizzonti solitamente più lunghi, mentre le aziende devono dare concretezza anche a scenari a breve e medio termine nell’analisi del rischio climatico. In più la scienza del clima individua solo delle tendenze generali, non può arrivare a stabilire che un certo evento si verificherà precisamente in un certo luogo e in un periodo preciso. Ma è proprio di questo, spesso, che le aziende e la finanza avrebbe bisogno.

“Come un’auto da Formula 1 non è quella che useresti per fare un salto al supermercato, così i modelli climatici non sono mai stati sviluppati per fornire informazioni raffinate per il rischio finanziario”, spiega a Reuters Andy Pitman, scienziato del clima presso l’Università del New South Wales e coautore dell’articolo.

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Lo strumento non è il migliore, quindi. Ma viene usato lo stesso. Con quali conseguenze? Secondo lo studio, un uso improprio dei modelli climatici potrebbe permettere alle aziende e alla finanza di promuovere il greenwashing di alcuni investimenti, ad esempio minimizzando dei rischi (sfruttando il fatto che i modelli climatici non hanno una grana fine). Oppure aumentare la loro capacità di fare debito, grazie all’esagerazione di altre tipologie di rischio.

Per risolvere la situazione, gli autori propongono di creare dei “traduttori climatici”, cioè degli strumenti ad hoc per il mondo del business e la finanza climatica, in grado di “tradurre” – in modo scientificamente corretto – le predizioni dei modelli climatici in dati maneggiabili dalle aziende per la valutazione del rischio climatico.

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