Lo studio di Carbon Tracker sul reporting finanziario dei top emitters
(Rinnovabili.it) – Prendete le 107 aziende globali che inquinano di più. Scorrete il loro reporting finanziario e cercate qualche riferimento al rischio climatico. Rimarrete delusi 7 volte su 10. Allora prendete i rapporti degli audit che valutano la solidità di quello che dichiarano le compagnie. Anche qui non va meglio: in 8 casi su 10 la valutazione esterna non calcola – perché non cerca neanche – l‘impatto del cambiamento climatico sul portafoglio.
Sono i due aspetti più dirompenti dell’ultimo rapporto di Carbon Tracker intitolato Flying Blind: The glaring absence of climate risk in financial reporting. Ce n’è poi un terzo che aggiunge l’ultimo pezzo alla cornice della situazione del reporting finanziario dei top emitters. Nessuno dei rapporti sullo stato degli asset, la loro esposizione a diversi fattori di rischio attuale e futuro e la solidità complessiva del portafoglio, prende anche solo lontanamente in considerazione l’accordo di Parigi. Significa che le aziende promettono la neutralità climatica (la maggior parte indica il 2050), ma non solo non spiegano come la vogliono raggiungere: non si fanno neppure quei conti in tasca che sono necessari per impostare sul serio la transizione verde.
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Le ciance sulla finanza climatica sono, per la maggior parte, parole a vuoto. Boccone amaro se si considera che la stragrande maggioranza delle aziende monitorate da Carbon Tracker – 94 su 107 – fanno parte di Climate Action 100+, un’iniziativa guidata dagli investitori per garantire che le più grandi aziende produttrici di gas serra del mondo intraprendano le azioni necessarie contro il cambiamento climatico.
Ma chi sono queste aziende? La lista dei grandi inquinatori comprende per il 33% compagnie oil&gas, il 17% sono attive nel settore dei trasporti, il 13% sono utilities, il 7% nel settore del cemento, il 7% sono attive nel settore merci e servizi per i consumatori, e quasi un quarto (23%) sono compagnie dell’industria pesante (minerario, chimico, acciaio).
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“Sulla base della significativa esposizione che queste aziende hanno al rischio della transizione e visto che hanno annunciato molti obiettivi sulle emissioni, ci aspettavamo una considerazione sostanzialmente maggiore delle questioni climatiche nei dati finanziari”, sottolinea Barbara Davidson, analista anziana di Carbon Tracker e autrice principale del rapporto. “Senza queste informazioni non c’è modo di conoscere l’entità del capitale a rischio, o se i fondi vengono diretti a imprese non sostenibili, il che riduce ulteriormente le nostre possibilità di decarbonizzare nel breve tempo rimanente per raggiungere gli obiettivi di Parigi”.