(Rinnovabili.it) – L’impatto del greenwashing su consumatori e imprese, ma anche gli strumenti legislativi per il contrasto messi in campo dai singoli Stati e da organismi sovranazionali come UE e ONU: il rapporto presentato a Circonomia fa il punto generale sull’ambientalismo di facciata da parte delle aziende. Sotto la lente dello studio il fenomeno in Italia, Francia, Germania, Regno Unito e USA.
Nel documento sono raccolti una serie di casi studio, narrando come abbiano comportato un danni (potenziali o effettivi) per le imprese interessate, sia dal punto di vista dell’immagine pubblica sia da quello economico. La maggior parte delle operazioni di greenwashing avviene nel settore alimentare ed è relativo agli imballaggi.
Il greenwashing in Italia
Segnalato in particolare l’espediente italiano per evitare le imposizioni della direttiva Sup (Single Use Plastic). La norma europea infatti vieta la commercializzazione degli articoli in plastica monouso, e da quando è arrivata in Italia sono comparsi prodotti presentati come “riutilizzabili”, ma che in realtà non lo sono. Si tratta di plastiche per gli alimenti: piatti o bicchieri, contenitori o posate presentati come “sostenibili” ma che non sono né riutilizzabili né compostabili.
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Tra i casi più noti, invece, nel rapporto è citato lo spot televisivo Ferrarelle, nel quale la bottiglia della nota acqua viene definita “a impatto 0” per le attività di riforestazione di un’area boschiva messa in campo dall’azienda per la compensazione di CO2. Lo spot è stato sanzionato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato che ha imposto all’impresa una multa di 30 mila euro per pratica commerciale scorretta poiché “la riforestazione non riguardava la totalità delle emissioni inquinanti, ma solo una percentuale della produzione pari al 7% del totale annuale”.
Anche Sant’Anna e San Benedetto hanno subito un destino simile, quest’ultima quando nel 2010 ha definito la sua bottiglia “amica dell’ambiente”.
Casi noti nel mondo
In Inghilterra l’ASA (Advertising Standards Authority) ha accusato Pepsi Lipton International di greenwashing per un poster pubblicitario di Lipton Ice Tea con la frase “Deliziosamente rinfrescante, 100% riciclato”, con un asterisco alla parola “riciclato” che rimandava alla nota sul fondo: “Bottiglia in plastica riciclata, escluso tappo ed etichetta”.
Sotto accusa anche Coca-Cola, che ha dichiarato “di sostituire il 20% della plastica vergine con quella riciclata, creando nuove bottiglie in Pet riciclato (Rpet)” e di star “riducendo le emissioni per l’equivalente di 2.120 auto tolte alla strada in un anno” senza specificare che si tratta di una parte residuale delle bottiglie prodotte. Proprio Coca-Cola aveva già avuto guai con il greenwashing nel 2021, quando l’Earth Island Institute ha denunciato l’azienda perché, pur definendosi “sostenibile ed ecologica” era la prima impresa per plastica generata nel settore.
Nel dossier è anche raccontato il caso di Walmart, la catena americana di supermercati che nel 2017 è stata sanzionata per 1 milione di dollari a causa di prodotti in plastica presentati come biodegradabili o compostabili.